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Barça-Psg parla, al Napoli e al calcio: neanche i soldi possono comprare certe vittorie

L’incredibile serata del Camp Nou dimostra come neanche gli investimenti milionari coprono la distanza di mentalità e forza della storia tra “noi” e “loro”.

Barça-Psg parla, al Napoli e al calcio: neanche i soldi possono comprare certe vittorie

C’è stato un attimo, ieri sera, in cui i tifosi del Napoli si sono sentiti vicini a quelli del Psg. Uno solo, piccolo e minuscolo. E forse riusciamo a individuare pure di quale si tratta, in maniera esatta: Sergi Roberto che corre a braccia aperte verso gli spalti del Camp Nou. Ecco, proprio lì. I tifosi del Napoli hanno un ricordo fresco del “cosa significa”. Perdere contro i forti. Perdere contro i più forti.

Noi e loro

Un solo momento di affratellamento. Perché, poi, non c’è paragone. Cioè, vuoi mettere il Psg e il Napoli? Lo diciamo noi, addirittura noi che approviamo la politica di mercato del club partenopeo. Noi, che in molti avrebbero voluto scannarci (e una buona parte lo farebbe ancora) per aver sentenziato che la cessione di Higuain è stata, è, e sarà un clamoroso affare economico (oggi) e tecnico (domani).

Siamo gli stessi, e diciamo (dati alla mano, quindi oggettivamente) che il Psg fa il mercato che tutti i tifosi del Napoli vorrebbero. Ovvero, acquista. Solamente, semplicemente. Vende pure, come no, ma solo in alcuni momenti e a determinate condizioni. Sappiamo bene anche questo: hanno cominciato proprio da noi, a fare razzie. Estate 2012, ecco Lavezzi; poi Ibra e Thiago Silva. Estate 2013, Cavani detto fatto. L’unica cessione milionaria degli ultimi anni è quella di David Luiz, questa estate al Chelsea. Un’operazione del tutto particolare, un cavallo di ritorno vero e proprio. Niente di impattante, a livello tecnico. Sicuramente meno di un Di Maria, per dire.

Noi, intesi come Napoli, non facciamo parte dello stesso circolo del Psg. Siamo un’altra cosa, dal punto di vista economico. Meno strutturati, meno performanti, meno potenti. Loro hanno anche un florido settore giovanile, che a certi livelli fa la differenza (?). Areola, Kimpembe, Rabiot, Augustin. Funziona anche quello, a Parigi. Funziona tutto, a Parigi. Funziona finché si resta in Francia, però. Dove non c’è concorrenza, soprattutto economica. Quindi tecnica. Dove il Lione, che al tempo dell’arrivo degli sceicchi veniva da un decennio di dominio, è stato letteralmente spazzato via. No, noi non siamo come loro. Eppure, per un momento, ci siamo sentiti molto vicini.

La grande distanza

Sì, perché ieri sera una squadra così forte e importante e un progggetto così ricco e giusto si è abbattuto sugli scogli della verità. Di una verità che nel calcio è sempre la stessa, sempre quella: vincono i più forti. In un modo o nell’altro, senza arbitro o pure con l’arbitro – per chi scrive il rigore del 5-1 è molto più no che sì. Il problema, però, è essere arrivati al 4-1 al 90esimo. È quello che è successo subito dopo. Mentalità, distanza, forza della storia. Una reale presenza a certi livelli, che è soprattutto aderenza a determinate dinamiche. Cose che non si possono comprare, né tantomeno si inventano. Si imparano, perché si possono imparare. Dopo anni, anni e anni di apprendistato.

Il Psg spende da poco più di un lustro. Non ha una realistica concorrenza interna, quindi vince in Francia. Ma non ha mai superato i quarti di finale di Champions. Non ha mai superato il Barcellona. Solo una volta, in una condizione molto particolare, il Chelsea. Un altro caso di studio.

Non è questione di soldi, è questione che ci sono dei luoghi e dei club che fanno questo. Vincono. Da sempre. E ci sta poco da fare. A volte perdono pure, per carità. Ma poi ritornano. E tu puoi fare di tutto per provare a insidiarli, a smuovere le fondamenta del loro dominio. Per intrometterti. Niente, non c’è spazio perché quello è il loro spazio.

Eccezioni

Come in ogni cosa della vita, ci sono le eccezioni. Atletico Madrid, Borussia Dortmund, Manchester City. Club che, ognuno in un modo, ci hanno provato. E ci sono quasi riusciti. Hanno anche vinto in patria, e questa è l’unica differenza col Napoli – ne parliamo tra poco. Ma per il resto, sono rimasti sempre con il cerino in mano quando si trattava di cavalcare lo stesso mare del Psg. Non hanno mai vinto la Champions.

L’Atletico l’ha persa quasi peggio che il Napoli la qualificazione ai quarti, lo stesso gol di Ramos ma al 90esimo minuto e in finale. Nonostante la marcatura a uomo di Godin. Il Dortmund di Klopp, che è diverso da Sarri ma uguale a Sarri, sempre in finale contro il Bayern. Il City è il Psg elevato a potenza, più anni di investimenti e più soldi investiti. Eppure, vanta solo una semifinale. Persa, contro il Real Madrid. Toh.

Poi c’è il Chelsea, due finali di cui una vinta. L’eccezione non plus ultra, ma sempre dall’Inghilterra e da Londra. Non vogliamo parlare di peso politico, non vorremmo divagare. Ma pensateci: la Premier, Gazprom, Abramovich. Gli sceicchi non hanno ancora fatto nemmeno una finale. Il Chelsea ha dovuto aspettare l’ottavo anno di mercato folle per vincere davvero. E ha ingoiato bocconi amarissimi, contro il Liverpool e lo United ad esempio.

Noi piccoli

E poi ci siamo noi. Che ci “piangiamo” le marcature di Sarri su Sergio Ramos. Come se fosse stato quello a farci fuori dalla Champions, non la forza devastante e assoluta del Madrid. La stessa del Barcellona, aggiungeremmo. Come se, l’anno scorso, a De Laurentiis sarebbe bastato comprare un altro centrocampista al posto di Grassi per vincere la corsa scudetto con la Juventus. Abbiamo letto anche questo, sì.

Non avremo mai la controprova, quindi abbiamo ragione entrambi. Noi e voi. È solo che il mondo del calcio ti dimostra continuamente che non è quello il punto. I soldi non acquistano le vittorie. O meglio, non bastano comunque quando incontri qualcuno che ne ha più di te. E che a questa supremazia economica aggiunge il pedigree, la storia, il blasone, la conoscenza quasi genetica degli ambienti e del successo in certi ambienti. La distanza tra Napoli e Juventus, in Italia, è la stessa che c’è oggi in Champions tra Psg e Barcellona. Enorme. Mentre ancor più grande, di conseguenza, è la differenza tra noi e il Real Madrid. L’abbiamo colmata per 50′ col gioco e un’idea di gioco, ma poi è venuta fuori. Sublimata in Sergio Ramos, ma la marcatura a zona di Sarri e lo stesso Sarri sono l’ultimo dei problemi. C’è tanto altro, in mezzo.

Cosa fare

Continuare così. Nei limiti delle possibilità che abbiamo, essere lì. Il Napoli deve continuare nel suo progetto di crescita, perché essere lì – come sta facendo da anni – è la prima cosa da fare per approfittare del sonno dei più forti. Non è rassegnazione, è realismo. Il Chelsea, del resto, ha vinto la sua Champions nell’anno in cui il Bayern Monaco ha perso una finale in casa. Ha perso una finale in casa, fa male solo a scriverlo. Lo stesso Bayern che l’anno dopo ha vinto, e che nelle tre stagioni successive è sempre arrivato in semifinale.

Il Leicester ha vinto la Premier quando tutti i grandi club d’Inghilterra si sono letteralmente addormentati. La Juve, da noi, non si addormenta mai. Non l’ha ancora fatto. Il Napoli ha un punto in meno rispetto allo scorso campionato, ed è comunque a -10 dai bianconeri. Ed ha perso con il Real Madrid. Signori, il Real Madrid. Al primo anno di Champions di questa gestione tecnica.

Ci sarebbe tanto altro, da dire. Sugli anni occorsi al Manchester City per arrivare alla semifinale di Champions, sulle eliminazioni patite ai gironi dai Citizens (una ce la ricordiamo) e dal Dortmund di Klopp al primo anno. Sull’Arsenal, che ha uno stadio nuovo da un decennio e un bilancio floridissimo e una delle migliori academy d’Inghilterra eppure va sistematicamente fuori agli ottavi. Sulle Champions giocate negli ultimi quattro anni da Milan e Inter, che teoricamente apparterrebbero allo stesso gruppo della Juventus e invece sono dietro, molto dietro.

Ci sarebbe tanto da dire, soprattutto sui tifosi del Napoli che criticano. La società, i calciatori, l’allenatore. Ce n’è per tutti i gusti, perché si criticano i risultati. “Che non arrivano, perché non si vince niente”. Dimenticandosi che, a vincere i trofei, ci arriva un solo club alla volta. E che a riuscirci, più o meno e in una certa contestualizzazione, sono sempre gli stessi.

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