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La bastardaggine finale di Callejon contro la Fiorentina apre una nuova epoca

Quella frase a fine partita («Abbiamo giocato una partita seria») apre un mondo davanti a noi. Non più geniali come Maradona, ma seri come Josè: callejoniani

La bastardaggine finale di Callejon contro la Fiorentina apre una nuova epoca

La strana coppia

La partita contro la Fiorentina mi ha fatto molto riflettere, oltre a rendermi felice per la vittoria e per lo spettacolo di una squadra forte, sotto ogni punto di vista; ma questa forza ha provocato in me un disagio, nato dall’accoppiamento della telecronaca zaccheroniana e la performance di Callejon.

Partiamo da Zac: la sua maniera di esprimere l’antipatia verso la nostra squadra è stata, a mio avviso, subdola. La Fiorentina non è squadra da poco, nonostante non abbia giocatori di qualità come quelli del Napoli e, diciamolo pure, un allenatore attualmente dello stesso livello; ci hanno fatto sudare, ieri, anche se la mentalità dei nostri beniamini non è mai andata sotto, sempre ordinati e presenti, fatta eccezione per alcuni momenti fisiologici; il Napoli non si è mai lasciato andare, si è comportato come una squadra di spessore, vincente.

La parola Napoli associata alla consapevolezza

Io credo che sia questo a mettere in difficoltà alcuni commentatori, egregiamente rappresentati ieri da Zaccheroni, al quale dava palesemente fastidio la vittoria del Napoli, anche se ovviamente non l’ha mai detto: l’idea di associare la fermezza della convinzione dei propri mezzi e la esecuzione di questi stessi e la relativa vittoria, in un qualunque ambito, in particolare quello che ora ci interessa, ossia quello calcistico, e la parola Napoli.

Possibile che esista un o una Napoli che vinca e che lo faccia da grande, quantomeno con l’atteggiamento di una grande? Pare proprio di sì, signor Zaccheroni, mi dispiace per lei e mi fa piacere per noi. Ma guardiamoci bene in faccia, oltre tutti gli argomenti validissimi a favore dell’atteggiamento della squadra, del suo gioco, suggellati dall’unico evento capace di mettere un punto a tutto e di rendere ridicoli i detrattori, a meno che non abbiano una mente fine in grado di una critica, se non costruttiva, esteticamente valida, cosa ci ha reso vincenti?

La meraviglia Callejon

E veniamo a Callejon: mi ha fatto godere. Oltre il gol, eccezionale dall’inizio dell’azione da cui è scaturito fino all’abbattimento di Papa Luciano e al rigonfiamento della rete – ho urlato talmente forte che il vicino è venuto a chiedere se avevamo un problema – lo spagnolo mi ha donato una meraviglia che mai avevo visto nelle nostre fila, una meraviglia che si è presentata sotto le vesti di un disagio, durato fino alle sue dichiarazioni nel post partita: “Abbiamo giocato una partita seria”.

Nella fase finale della partita, Callejon si è gettato a terra una quantità di volte incredibile, recitando al meglio la parte del bastardo, rotolandosi e conquistando il cuore dei suoi stessi compagni, per bastardaggine e non per commozione, fino al punto che uno dei suoi solleciterà l’intervento della barella dopo uno dei suoi infortuni. Di quale serietà parlava? Di quella che ha rotto le scatole a Zaccheroni e che ha dato un insegnamento fondamentale a noi, i Napoletani: la serietà del figlio di buona donna, di chi fa una grande partita, non solo per la qualità e il cuore che ci ha messo, ma anche perché verso la fine cercherà di gestire il tempo, di vincerla di un gol contro una squadra che sembrava il Napoli di qualche tempo fa, una squadra che lotta con i denti per tornare ad avere un peso, per essere di nuovo riconosciuta in quanto pesante.

Guardate bene in faccia lo spagnolo

Guardate bene la faccia dello spagnolo, ha quello sguardo tranquillo che incornicia due occhi per niente benevoli, sembra governato da una cattiveria superficiale di chi sa cosa deve fare, ma soprattutto perché deve farlo. Mourinho disse di lui che era pronto a giocare al top ogni volta che veniva chiamato in causa, anche solo per dieci minuti, che era rispettoso di tutti i compagni e umile. Questo è lo stesso Callejon che ieri, dopo un’ottima partita e un gran gol, si è gettato a terra per guadagnare tempo, nonostante gli avversari fossero arrabbiati ma la sua squadra continuasse a fare del buon calcio, solo per prendere tempo, perché anche questo conta per vincere. Questa è la sua serietà, quella di chi non è puro, quella di un bastardo umile e professionalmente riconoscibile da tutti, anche dall’aspro Mourinho, il giocatore di talento indiscusso, ma che recita quando necessario. Perché era necessario.

C’è stato un attimo in cui mi sono strofinato gli occhi, incredulo perché il mio Napoli mi ricordava qualcosa, aveva delle caratteristiche note, riconoscibili e che avevo visto ad altri. A chi? Ad alcuni tra i più odiati da noi: alla Juventus.

Maradona

Ho cercato di scrivere molti racconti sulla presenza di Maradona al San Carlo, erano tutti tristi e brutti, li ho cancellati prima ancora di finirli. Maradona è un mito per noi, perché qui ha vinto e l’ha fatto in un modo unico e non raro, di cui probabilmente è capace solo lui, quel modo definito dalla mano di D10S, che apparì al rallenty contro l’Inghilterra ma anche in campionato con la maglia del Napoli; il verbo apparire lo uso consapevolmente, come se si sia trattato di un miracolo, anche se quello che Bianchi ha detto nella sua ultima intervista – Diego era l’ultimo a smettere di allenarsi, con buona pace di chi diceva e dice che Diego non aveva bisogno di allenarsi – mostra meglio del solito immaginario collettivo cosa in realtà è un talento, conformemente alle parole di Jacques Brel: il talento in sé per sé non esiste, è disciplina e voglia di fare qualcosa con un’energia enorme, un grande lavoro di compensazione tra l’idea e la sua realizzazione.

Essere un bastardo

Chi vuole vincere sa che dovrà piegarsi a non essere puro, dovrà qualche volta essere un bastardo; Maradona, quando lo è stato, l’ha fatto nel suo modo unico, e ci sono volute immagini iper rallentate e decine di telecamere per scoprirlo, si è dovuti uscire dal campo per accorgersene e, parliamoci chiaro, con tutto l’amore che mai terminerà, ma Maradona fuori dal campo è ridicolo. Per essere dei bastardi senza che nessuno se ne accorga, si deve essere Maradona, altrimenti bisogna esserlo e dire che questo significa essere seri. Maradona da mito passa a simbolo, due cose molto differenti, perché noi ci illudiamo molto pigramente di essere come lui, scaltri e rapidi come quella mano, che solo fuori dal campo, quando ormai le riflessioni sono letteratura e non più accuse, può essere scoperta.

“Siamo stati seri”

Quell’adorabile bastardo di Callejon lo sa, per questo mette tutti a tacere e dice: “Siamo stati seri”, perché la sua è stata la scaltrezza e l’eccellenza di un uomo serio, tale perché vuole sinceramente vincere. Non c’è un’operazione di riscatto, perché non c’è nulla da riscattare, nulla da riscoprire, nulla da difendere. C’è da vincere lavorando e senza essere stupidi.

Tiro le somme: noi non siamo Maradona e non dovremmo essere nemmeno maradoniani; noi, invece, dobbiamo essere callejoniani: sguardo indifferente, pronto a divertirsi, a lavorare e ad essere vincente, pronto all’occorrenza a cadere, perché serve. Noi non abbiamo la scaltrezza geniale e divina di Maradona, mentre dovremmo avere la serietà di Callejon. Qui mi fermo e a fianco di San Gennaro in camera da letto, metto lo spagnolo, che D10S mi perdoni.

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