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Cagliari-Napoli e la storia di tre tecnici in comune: Chiappella, Ranieri e Ulivieri

Tanti mister in comune sulle panchine azzurre e rossoblu. Le esperienze a Napoli di tre tecnici per parlare del match che aspetta gli azzurri in Sardegna.

Cagliari-Napoli e la storia di tre tecnici in comune: Chiappella, Ranieri e Ulivieri

Questione di mister

Cagliari e Napoli, un “mare” di ex. Le statistiche ci dicono che gli allenatori che hanno visto il Golfo di Cagliari ed il Golfo di Partenope ammontano a dieci, una cifra record per la Serie A. Nessuna squadra, infatti, nel corso degli anni e dei campionati, si è affidata così spesso a tecnici provenienti da Cagliari o da Napoli e viceversa. L’elenco è veramente lungo ma vale la pena fare una rinfrescata prima di esaminare più da vicino il capostipite di questi scambi di panchina, ovvero Giuseppe Chiappella e coloro che lo seguirono, il futuro campione di Inghilterra col Leicester e il futuro presidente dell’Associazione Italiana Allenatori.

Dunque, al principio fu Beppone da Rogoredo, seguì il gentleman romano Ranieri, poi il ‘Renzaccio’ toscano, Ulivieri. Arrivò successivamente l’era degli anni 2000 ed in fila indiana si sedettero sulle due panchine altri tecnici ‘italianisti’ e concreti, Ventura e Reja, ed infine il silente ed educato Donadoni. Nel mezzo, presenze sparse, ma poco durature su entrambe le sponde, di Mazzone (una storica qualificazione alla Coppa Uefa coi rossoblu e appena quattro partite col Napoli), Giacomini, Colomba e Zeman, trainer che non hanno lasciato un buon ricordo nel pubblico sardo e napoletano. Quanti intrecci, quanti scambi tra rossoblu e azzurri.

Il Cagliari sfruttò la voglia di emergere di Ranieri e l’esperienza di Ventura e Reja per tre belle promozioni mentre breve fu la permanenza a Napoli dell’attuale C.T. della Nazionale e di Ranieri, entrambi esonerati. Caso a parte quello di Reja che, ancora oggi, ogni tanto torna a trovare la sua ‘vecchia’ società a Castelvolturno.

Giuseppe Chiappella

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Il ’68 del Napoli fu lui, la rivoluzione copernicana della panchina. Ingaggiato per il dopo Pesaola, congelato per squalifica dopo la rissa con la Juventus in cui fu espulso Sivori, panchina affidata per sette partite a Parola e Ferlaino che piazza la vecchia gloria Di Costanzo al posto dell’ex bianconero. Poi di nuovo Chiappella che guiderà la squadra senza interruzione per cinque anni. Furono tempi di ‘ye ye’ anche a Napoli, i giocatori avevano tutti il ciuffo ed i basettoni, andavano in campo al suono dei mortaretti e dei fumogeni che si levavano dalle curve, il tifo era più ingenuo e folkloristico.

Gli atleti azzurri, considerati alla stregua di semidei da venerare, vivevano tra Posillipo e Via Manzoni. Vivevano la città, mica Varcaturo, Baia Domizia e Lago Patria! Sivori aveva abbandonato da poco, Fiore e Lauro si facevano i dispetti, Ferlaino Furbo e Faina approfittò della situazione e fece fuori Corcione. Il ballo in maschera dei tecnici va e viene, parole e musica di una città scoppiettante. Iniziò così, non proprio nella progettualità più assoluta, la carriera dell’ex giocatore e tecnico della Fiorentina a Napoli.

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L’illusione del ’71

Furono cinque anni belli che molti ricordano ancora con piacere. Nel suo palmarés napoletano un settimo, un sesto, un terzo, un ottavo ed un nono posto. Indubbiamente il suo capolavoro assoluto fu il campionato 1970/711 quando la difesa del Napoli, con monsieur Zoff in porta, Ripari e Panzanato marcatori, Pogliana a spingere sulla fascia e Zurlini libero, subì solo 19 reti in 30 gare, 0,63 a partita.

È vero che ne fecero 33, ma quanta sostanza in quei 7 gol di Altafini, in quei 5 di Sormani, in quei 4 di Ghio, nei 3 di Umile e nei 2 di Hamrin. Fu quella solidità difensiva a proiettare il Napoli in testa alla classifica e a rinunciare alla lotta scudetto solo dopo che a Milano l’arbitro Gonella li sconfisse per 2 a 1. Confesso che da piccolo mi piaceva molto Boninsegna. Ma quanto l’ho odiato quel 21 marzo del 1971, dopo la doppietta agli azzurri! Chiappella si ambientò benissimo nella nostra città, portò per la prima volta nell’era ‘moderna’ il Napoli vicino alla vittoria finale e probabilmente non sarebbe mai andato via se Ferlaino non avesse deciso per la svolta.

Dopo di lui, Vinicio

Nell’estate del 1973 il presidente chiamò Vinicio e lì iniziò un ciclo vincente. Chiappella, col cuore infranto, partì alla volta di Cagliari. E la prima partita del nuovo campionato fu proprio Cagliari – Napoli. Il 7 ottobre del 1973 il brontolone milanese, rabbonito dall’esperienza napoletana ( si dice che la moglie avesse messo radici in città ), schierò Albertosi, Nenè, Riva, Brugnera, Niccolai, Mancin, Gori, tutti reduci dal primo storico scudetto di quattro anni prima, dei mostri sacri mica dei pincopallini. Il Napoli che si oppose ai sardi fu il primo di Vinicio, aveva già la fisionomia che lo avrebbe portato a far divertire i napoletani. Nella gara sull’isola giocò Ferradini col numero 7 e fu 0 a 0 in una gara aperta ma non particolarmente spettacolare. La domenica dopo bastò inserire Canè e contro la Juventus fu vittoria per 2 a 0.

Ranieri

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Claudio Ranieri viene ingaggiato dal Napoli nell’estate del 1991, dopo gli ottimi campionati col Cagliari, gli spetta un compito arduo e gravoso allo stesso tempo. Deve far dimenticare Maradona. Come, col gioco? Con la riconferma di campioni come Careca, De Napoli, Ferrara, Alemao, Crippa e Francini per dimostrare che la squadra non è smobilitata? Col lancio definitivo di Zola? Eh, sì, perchè i nuovi acquisti dicono poco e niente, Ferlaino va al risparmio ed ingaggia Padovano, De Agostini, Pusceddu e Tarantino.

Il boom potrebbe venire da Blanc ma, nonostante 6 reti siano una enormità per un difensore, il giocatore francese non è Krol e non sfiora nemmeno lontanamente il rendimento di Renica. Ci pensa la coppia Careca-Zola a togliere le castagne dal fuoco con un totale di 27 reti, Silenzi e Padovano ne mettono insieme solo 11. Alla fine sarà quarto posto ma a distanza siderale dal Milan campione d’Italia. L’anno dopo il tecnico romano, che cercò di far capire che la squadra doveva agire da collettivo e scordarsi di Maradona, basava il suo credo sulla duttilità e l’agonismo, cambiò molto nello scacchiere di centrocampo e predicò l’aggressività, fu confermato e gli vennero messi su un piatto d’argento due signori giocatori, Fonseca e Thern più i feroci Pari, Policano e Nela.

La squadra sembrava pronta a fare quel salto di qualità, a lottare per il vertice. Era questa l’ambiziosa e malcelata speranza di Ferlaino che aumentò lo stipendio del tecnico a un miliardo. Purtroppo l’inizio di torneo fu disastroso e Ranieri pagò dopo nove giornate. Gli fu fatale la sconfitta in casa col Milan per 1 a 5 con Van Basten a maramaldeggiare con una quaterna. Come ai vecchi tempi, serviva il nome di richiamo dietro cui salvare una stagione. L’orso Bianchi accettò e portò la barca in salvo.

Ulivieri

Napoli

76 reti subite in 34 partite sono una enormità. Furono i gol che il peggior Napoli della storia, più brutto anche del primo campionato a girone unico, quello del “ciuccio ‘e Fichella” con la coda fradicia e le piaghe come leggenda narra, subì nell’anno della retrocessione in B nel 1997-8 dopo ben 33 campionati consecutivi in Serie A. Come fare per rimediare a quest’onta, a questa vergogna? Via Protti, Ayala, Prunier e Crasson, la campagna acquisti la fa Antonio Juliano che si fida ciecamente di Ulivieri, individuato come il tecnico esperto in promozioni. Una piazza come Napoli non può attendere, il paradiso può attendere ma Napoli no. Deve ritornare subito nella categoria che gli compete. Ed allora via con gli acquisti di Paradiso (il destino!), Daino, Nilsen, Mora, Schwoch, Scapolo, Shalimov, Magoni e Murgita, ci si affida alla sapienza e all’esperienza del mister toscano.

Un tecnico che, però, sente troppo la città, le responsabilità, il clima del ‘dentro o fuori’ che echeggia nell’aria di Napoli. Così si fa espellere spesso, non le manda a dire agli arbitri e col suo viso corrucciato prende la via degli spogliatoi dopo molti pareggi al San Paolo. Conclusione, il tecnico pisano si dimise e Juliano, poverino, rimise il suo mandato a ruota quando mancavano poche giornate alla fine. Missione fallita, squadra affidata a Montefusco e Napoli al nono posto, a 13 punti dalla zona promozione. Di quell’anno si ricorda la grande attesa, la speranza che la risalita avvenisse subito e le camminate verso la panchina della coppia Juliano- Ulivieri nel pre-gara. Entrambi indossavano il cappotto, ma non era quello di Pesaola. E non portò fortuna.

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