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Il frustino di Biagio Agnes “giornalista di potere”

Biazzo ne ripercorre la carriera in un libro. Inventò il Tg1 delle 13.30 e Check-up. Di Avellino, ma non fu mai un valanzino.

Il frustino di Biagio Agnes “giornalista di potere”
Biagio Agnes

Ad Avellino li indicavano con il dito della mano quando attraversavano il Corso o sorbivano il caffè al mitico bar Lanzara: scostiamoci, stanno passando i “valanzini”. Cavalli dai garretti possenti anche se non proprio “belli” da vedere. Insieme, il “settebello” targato dc dettero vita allo squadrone che ha fatto la storia della prima repubblica. Ricordiamone i nomi in ordine sparso: Ciriaco De Mita, il numero uno, Nicola Mancino, Gerardo Bianco, Salverino De Vito, Antonio Aurigemma, Giuseppe Gargani e Aristide Savignano. Manca solo Biagio Agnes, che non è mai stato considerato un “valanzino” anche se ha battuto le stesse piste. Nel tempo, però, il signore della Tv si è presa una rivincita con gli interessi ed ancora oggi è uomo da copertina grazie alla documentata biografia che gli ha dedicato Salvatore Biazzo, giornalista Rai e amico di famiglia.

Nel sottotitolo, il mitico Biagione viene etichettato come “giornalista di potere” che non è da intendere come un marchio ma, piuttosto, come riconoscimento di una straordinaria attitudine al comando non statico ma illuminato. Nel solco di Ettore Bernabei si può dire – non a caso fu lui a nominarlo direttore generale poche ore dopo la morte di Villy De Luca – ma forse, e senza forse, più coraggioso, intraprendente e moderno.

Un curriculum prodigioso il suo: l’invenzione, negli anni sessanta, del Tg delle 13,30 con i giornalisti in video; nel decennio successivo l’informazione regionale con la terza rete; e poi ancora la nascita di Televideo e il piccolo grande capolavoro del primo magazine televisivo dedicato alla medicina, Check-up, insieme al carissimo Luciano Lombardi, grande “voce” della Rai napoletana. Senza contare la “fabbrica” di Saxa Rubra che proiettò la Rai in una dimensione tecnologicamente più competitiva. Nessuno ha fatto più di lui e come lui: questo è un dato incontrovertibile. L’altra metà del cielo – la sua “fedeltà” democristiana sopra ogni cosa – è un’altra storia. Che c’è stata, per ammissione dello stesso Agnes («È vero ho lottizzato ma con la giusta misura») ma non è stata mai del tutto decifrata se è vero che Biazzo dà conto di una opinione secondo la quale è stato De Mita, e non Agnes, a beneficiare in più larga misura dell’amicizia fraterna che li legava. Il chiarimento definitivo avrebbe potuto darlo Mario, il fratello di Biagio, presidente dell’Azione Cattolica e direttore dell’Osservatore romano, ma nessuno ha osato. Caratterialmente Biagio era l’opposto di Mario, ma sul piano degli affetti tutte le differenze scomparivano.

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Biagione, dunque. Prendere o lasciare per chi lo ha frequentato e, ancora di più, per chi ha avuto la ventura di fare un tratto di strada con lui. Lavoratore instancabile: quando ci fu lo sbarco sulla luna, restò in Rai per tre giorni filati apparentemente senza accusare un minimo di cedimento a conferma di quanto sostenuto in un libro scritto a quattro mani con Antonio Mazza e pubblicato dalla Eri che aveva questo titolo: Tv, moglie, amante e compagna. Grande motivatore di noi giornalisti che lavoravamo alle sue dipendenze. La riunione mattutina per l’impostazione dei Tg – l’indimenticabile “relais” che iniziava alle 10, guai a fare un solo minuto di ritardo – nel corso del quale tutte le redazioni venivano passate al setaccio. Non ammetteva di essere contraddetto e bisogna dargli atto che il più delle volte il suo fiuto era un tantino più avanti. Come simbolo del comando faceva vibrare nell’aria – spesso dopo averti colpito – un frustino che, imitando pessimi modelli ma solo per canzonarli, agitava come simbolo di potenza e di severità. In realtà era tutt’altra cosa e noi che lo conoscevamo sapevamo che se minacciava di colpirti con il frustino in realtà era contento del tuo lavoro.

Tutto questo, e tanto altro ancora, è molto ben scolpito nel testo di Biazzo che, oltre ad attraversare gli anni di Biagione, si è preoccupato – con ottimi di risultato – di restituire al grande Capo l’onore delle armi professionali che Beppe Grillo aveva tentato di demolire.

Quest’ultimo particolare consente di ritornare ai “valanzini” soprattutto per dire che non è mai stato chiarito se si trattasse di un complimento – giustificato dall’ovvia considerazione che potevano vantarsi, ad Avellino e nei comuni della provincia media e alta dell’Irpinia, di aver ricevuto da loro un favore, un posto, una franchigia, una pensione non del tutto maturata e meritata – o di un marchio di totale dissenso politico e morale. Il dubbio se lo porteranno dietro anche le generazioni che verranno, ma, ormai, poco importa perché i “valanzini” – erano così definiti i cavalli non molto veloci ma possenti e instancabili – da tempo hanno smesso di tirare il carro dei pellegrini e, quindi, di sopportare la fatica più dura. Sono usciti fuori pista. Tutti tranne, manco a dirlo, Ciriaco De Mita, il leader dei “valanzini”, sindaco di Nusco e leader del No in uno schieramento che non dà certo l’impressione di solidità della antica “paranza” avellinese che sbarcò a Roma e continuò a dettare legge.

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