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Sconcerti e la differenza filosofica tra Sarri e Allegri

Anche l’opinionista del Corriere della sera si sofferma sul turn over e va a quella che secondo lui è la radice della diversità.

Sconcerti e la differenza filosofica tra Sarri e Allegri

Sul “caso Sarri” (sic) si esercita anche Mario Sconcerti sul Corriere della Sera. Sconcerti divide gli allenatori in quelli che allenano il gioco, “che tentano una diversità”, e quelli che allenano i giocatori. Anche l’opinionista Rai cade nel tranello dei giocatori impiegati da Sarri e Allegri, non si sofferma sulle differenze di esperienza tra Dani Alves e Rog, non ricorda che persino Pjanic – per non parlare di Higuain – ha faticato a giocare nelle prime giornate, e non sottolinea la differenza tra calciatori già in organico da un anno, come ad esempio Cuadrado, e i nuovi arrivati. Per non parlare dei settanta minuti del “fenomeno” (fateci caso, lo chiamano sempre fenomeno) Pjaca.

Per Sarri «chi allena il gioco, cerca l’interprete adatto al proprio metodo. Chi allena i calciatori, mescola la propria rosa poi sceglie i più adatti a fare squadra. Allegri è uno di questi, Sarri è uno degli altri. Guardiola è una via di mezzo quasi non percorribile, perché fa l’una e l’altra cosa. Così non sorprende che Sarri abbia utilizzato il 25% in meno di giocatori rispetto ad Allegri e il 30% in meno rispetto alla media del campionato. A Sarri non basta che un suo giocatore sia in forma, deve saper fare i movimenti che servono al suo schema. È questo il piccolo abisso che inghiotte il suo turnover. Trovata una ricetta, Sarri ha resistenze culturali a cambiarla perché secondo lui ne va della realizzazione dell’opera. È uno sperimentatore di vita, non di uomini, il suo concetto di calcio deve nascere nel particolare e diventare universale. Essendo molto difficile, è normale che Sarri si affezioni al modello che più si avvicina. È un limite? Sì, lo è. Ma è anche una differenza e andrebbe protetta». Un’analisi che richiama quella scritta per il Napolista da Raniero Virgilio.

Sconcerti si schiera con Sarri e la scuola sacchiana ma dichiara di aver capito “da un pezzo che il calcio è quasi solo dall’altra”.

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