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Andrea Esposito, la meteora che segnò due gol alla Roma di Herrera

Ferlaino lo comprò al Viareggio. Chiappella lo mandò in campo e Andrea Esposito segnò due gol alla Roma. Ma si ruppe il menisco.

Andrea Esposito, la meteora che segnò due gol alla Roma di Herrera
Esposito e Altafini

Non si chiama Ciro, nemmeno Gennaro. Si chiama Andrea, l’Esposito che spezzò le reni alla Roma il 12 dicembre del 1971, in una gara che esaltò il fu “Derby del sole” e da cui, però, i giallorossi uscirono a pezzi. Operazioni come quella di portare un giocatore dalla Serie D al San Paolo non credo si siano ripetute più nella storia del Napoli, eppure nell’estate del 1971 il duo Chiappella-Ferlaino puntò molto su quel ventunenne e giovane promessa del calcio italiano. Il capellone potentino, per la precisione di Sant’Arcangelo, aveva messo a segno 18 reti in 34 partite col Policoro, aveva sfondato reti e colpito pali nelle serie minori, era diventato un potenziale crack dell’epoca. Così si pensò di acquistarlo e farlo crescere dietro a dei mostri sacri come Altafini e Sormani, titolari quasi inamovibili, e a delle discrete riserve come Macchi e Manservisi. Insomma in rosa era il quinto attaccante. I tifosi giustamente si chiesero “E quando gioca questo qui?”. Non furono molto lontani dalla realtà poiché l’aitante ma sfortunato bomber collezionò solo 7 presenze ma con due gol.

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Andrea Esposito

Ferlaino lo acquistò al mercatino di Viareggio facendo incavolare di brutto il presidente del Policoro. Infatti, da vecchia volpe quale era il Corrado, firmò prima un’opzione per venti milioni, poi fece aspettare il collega per tre giorni in un hotel. Quando si rifece vivo mancavano dieci minuti alla chiusura del mercatino ed offrì solo cinque milioni per il cartellino dell’attaccante. Morale della favola, Ferlaino, che prese ugualmente Esposito, fu inseguito per tutto l’albergo dal presidente Montesano che gli tirò dietro perfino una macchina da scrivere. L’undici, il cui papà era amalfitano, debuttò a Napoli nello sfortunato derby di Coppa Italia col Sorrento e si mise subito in luce. Col suo piede sinistro allenava Dino Zoff, il portiere si faceva bombardare da lui perché diceva che Andrea calciava benissimo mentre correva, colpendo di collo piede. Insomma era utile per migliorare i suoi già buoni riflessi.

Due marcature storiche con la Roma, di quelle che ti fanno passare da meteora a giocatore fatto. Purtroppo dopo quei due unici gol con la maglia azzurra, Andrea Esposito non ne fece più e quindi rimase nel libro delle meteore. Chiappella lo fece esordire buttandolo nella mischia di una gara altrettanto clamorosa, quella del 2 a 6 in casa del Vicenza, dove Altafini e Manservisi ridussero di poco lo scuorno di fronte alla mezza dozzina di volte che Zoff dovette raccogliere il pallone nella propria porta. Pochi minuti, al posto di Panzanato sul 2 a 3, forse la partita si poteva ancora recuperare, tanto per fargli capire che la serie A non era la serie D.

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Dopo la trasferta in Veneto, Chiappella lo tiene sulle spine per tutta la settimana, lo fa allenare a dovere, lo fa calciare in porta a ripetizione anche alla fine dell’allenamento, lo martella, si veste da Helenio Herrera (che quell’anno allenava la Roma) e gli dice: “Tu sei forte, domenica ti faccio giocare contro la Roma, fammi un gol”. E la domenica successiva il buon Beppone, conoscendo il pubblico napoletano, sapendo che dopo la batosta di Vicenza ci poteva essere una reazione da parte del tifo organizzato, si gioca tutte le chance contro i capitolini. “O Roma o morte”, questo il grido di battaglia di una squadra che si presentò a trazione anteriore, al cospetto del suo pubblico.

Improta trequartista, Sormani, Altafini col ‘dieci’ e Andrea Esposito in attacco. Andate e toglieteci lo schiaffo di Vicenza dalla faccia. E la tattica garibaldina pagò. Il giovanotto arrivato dalla serie D fece un partitone, di quelli che, come stiamo facendo noi adesso, ne parli finché morte non ci separi. Doppietta più rete di Pogliana e Josè, e Roma annichilita, il Napoli aveva fatto come il Vicenza la settimana precedente. La partita perfetta. La prima rete la racconta il Guerin Sportivo:

“Cross di Ripari, Altafini controlla e gira a rete, il portiere respinge, Esposito arriva in corsa e segna da posizione angolata”. Il secondo: “Capolavoro di Esposito che supera con un pallonetto Cappelli, resiste alla carica di Santarini e batte De Min con un pallone tagliato”.

Voto in pagella 9. Gino Bramieri, comico di fama, ci fece una battuta in televisione “L’amaro lucano di Helenio Herrera”.

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Il foto immagine di quella partita parla chiaro. Andrea esce dal campo stravolto, confuso e felice, gli occhi verdi, un filo di barba e basettoni lunghi il giusto per l’epoca, sembra uscito fuori da “Per un pugno di dollari”. La pistola ancora fumante, quella con cui aveva steso la Roma, fu riposta nel taschino con la stelletta quando l’arbitro Giunti fischiò la fine, missione compiuta. Il giorno dopo, il caos mediatico. “I giornali, la tv, quando segnai i due gol alla Roma non capii più niente. Dopo è andata come è andata” disse in un’intervista postuma.

La sera della famosa partita tornò al paesello e, scendendo dalla macchina, sentì un dolore al ginocchio sinistro. Il martedì si fece visitare a Napoli. Era menisco. Nonostante questo, sull’onda della grande gara con i giallorossi, lo buttarono nella mischia anche nella successiva partita col Torino ma un po’ per le botte di Mozzini, un po’ per il dolore, Andrea si intristì. Uscì dal campo e disse a Ferlaino: «Io così non continuo, faccio solo brutte figure. Voglio guarire e poi vedremo». Il menisco era a pezzi, fu operato, Chiappella ne annunciò il ritorno in campo a marzo contro la Juve. Si allenava bene, faceva gol in partitella ma sentiva che qualcosa non funzionava come doveva. Un giorno si tolse la tuta, il ginocchio era proprio gonfio. All’epoca il calcio era così. Non c’erano le tecniche di oggi e forse anche più pressapochismo e superficialità, chissà. Così in campo non ci andò e i tifosi lo rividero, ma solo in televisione, nella finale di Coppa Italia col Milan dove giocò pochi minuti.

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Torna a Sant’ Arcangelo, in spiaggia lo contatta il Brindisi, lo chiede Vinicio, ne vuole fare il suo attaccante principe. Arriva, però, all’ultimo minuto la Reggina che gli offre di più e sta allestendo una squadra per lottare per il vertice. Va a Reggio. Vinicio se la lega al dito e quando diventerà allenatore del Napoli e gli propongono di riprendere Esposito, che era rimasto di proprietà del Napoli, “O’ lione” dice: “No, non lo voglio”. Giocherà poi con il Siracusa e la Juve Stabia e terminerà la carriera in Eccellenza, col Villa d’Agri. Aveva 44 anni. Quel giorno la squadra vinse 3 a 0 con un gol suo e due di Alfonso Esposito, suo figlio. Lo aveva promesso alla sua carriera sfortunata. “Smetterò quando giocherò e segnerò insieme a mio figlio”. E così fu.

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