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Romanzo napolista \ La discussione sul Cinzano

Decima puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista \ La discussione sul Cinzano

Sono nella merda, ma il Dinamis io lo chiudo piuttosto che lasciare Aristarkos tra i pali! – biascicò Onassis tra sé e sé, versandosi il quinto bourbon con ghiaccio. Presidente, – esordì Zora, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, immaginando dai grugniti ritmati di Onassis che il boss aveva in serbo qualcosa di grosso e che qualcuno lo stava ostacolando – scusi se mi permetto di interferire, ma se ci sono problemi sul nuovo assetto del Dinamis non crede che sarebbe meglio fare una riunione con La Cruz e i giocatori più importanti, piuttosto che continuare a bere? Zora! – urlò indispettito – tu sei la mia segretaria e le segretarie non capiscono un cazzo né di football, né della diplomazia con cui un presidente tiene insieme una squadra! Secondo me, – incalzò Zora – lei dovrebbe fare come Aristarkos, che domani parte per l’Italia, si prenda una vacanza per rilassarsi!

Ormai era ora di pranzo, il sole di Tessaglia bruciava senza pietà ogni cosa e anche la testa di Onassis, che sembrava quasi fumare di rabbia per la piega che gli eventi avevano preso. Al settimo bourbon, Onassis ruppe di nuovo il silenzio ed esclamò: “Vattene, Zora, devo pensare alla soluzione”. La ragazza, con uno sguardo disgustato, prese le sue cose e uscì dall’ufficio. Rimasto solo, Onassis afferrò il telefono e fece il numero di La Cruz. Reginaldo stava riposando fuori l’uscio di casa con il poncho e il sombrero, dopo alcuni squilli si svegliò e, alzandosi di scatto, tra le imprecazioni, travolse due bottiglie vuote di Cinzano. Chi cazzo è? – esordì il mister all’apparecchio. Poche chiacchiere, Reginaldo, – tagliò corto Onassis – ti voglio subito nel mio ufficio. Arrivo subito, capo. La Cruz non era mai stato servile con Onassis, anzi in paese tutti lo consideravano l’unico che poteva bene o male trattare con lui quasi alla pari. Del resto Onassis lo rispettava e lo considerava un duro e tutti sapevano che il mister non era mai stato messo in discussione, a dispetto dei miseri risultati della squadra, perché a Onassis piaceva che in panchina le redini stessero in mano a uno che con la pistola ci sapeva fare.

Alle tre del pomeriggio La Cruz, gonfio e stordito, entrò nell’ufficio di Onassis con una borraccia a tracolla. I due erano ubriachi fradici e in quello stato diedero corpo, sulla scorta di una sporca invenzione di Onassis, al piano che avrebbe imposto Orson Castano tra i pali del Dinamis per i successivi dieci anni e oltre. Reginaldo, c’è una notizia di merda che devi mandar giù, perché a partire da questa notizia dovremo decidere insieme come metterla con la questione del portiere – disse Onassis appena La Cruz si chiuse alle spalle la porta dell’ufficio. – Di quale questione del portiere parli? Se si tratta di come rimpiazzare Arpamidis, ti dico che mi va bene anche quel fesso che Kalamata mi fece prendere come massaggiatore, andiamo sicuri, perché il mio oracolo, come ho riflettuto dopo, mi fece capire solo che quello lì doveva genericamente entrare in squadra, anche se al momento pensai che era giusto come massaggiatore. – Fermati, Reginaldo, non mettere altra merda nel piatto, la questione del portiere è grossa e perciò ti ho chiamato subito. Il problema è Aristarkos, non Arpamidis. – Che cazzo dici, Egeiros! Aristarkos è il mio numero uno e da lì non me lo schiodi! – Ah sì? Amico mio, se non sbaglio, da quando hai lasciato l’America bevi solo il tuo dannato Asti Cinzano e vent’anni fa ti convinsi ad allenare la mia squadra perché ti promisi forniture illimitate del tuo spumante italiano a prezzi che solo io posso fare in tutta la Grecia. – Niente da eccepire, ma che c’entra con Aristarkos? – Dimmi, Reginaldo, saresti disposto a restare qui se ti dicessi che i tempi sono troppo duri per continuare a importare Cinzano? – Dove vuoi arrivare, Egeiros? Lo sai che fa parte di me, è più forte di me e inizio a invecchiare. Se mi togli il Cinzano, io chiudo e torno in Italia. – Lo so, lo so. E ora veniamo alla notizia di merda. Ho saputo che il tuo Aristarkos domani partirà per l’Italia. Dice che dopo i rigori di ieri mattina ha bisogno di una vacanza! Quel figlio di puttana! Si è organizzato tutto alla perfezione per non dare nell’occhio. – Ma di che stai parlando? – Io lo sapevo da settimane che Aristarkos sarebbe andato in Italia! E chi mi aveva messo in guardia? I miei amici di Patrasso. A marzo, l’ultima volta che sono stato lì, dei loro uomini bene informati mi dissero che il mio portiere stava entrando nel giro e che a fine campionato si sarebbe imbarcato per l’Italia, dove ha trovato contatti giusti per requisire Cinzano alla fonte, mentre io, lo sai, per stare tranquillo non ho mai trattato più lontano di Patrasso. E lo sai come si chiamano i suoi contatti giusti? Kalamata! – Il mio bomber! – Sì, ma sono due anni che ha smesso di fare il bomber! Ti sei mica chiesto dove se ne andò, dopo aver chiuso col Dinamis? Te lo dico io, che a Patrasso ho gli amici che mi informano su ogni movimento. Kalamata da due anni vive in Italia, Piemonte. In paese e alla squadra raccontò la stronzata di voler fare l’apicoltore, invece quel diavolo cercò di entrare nel giro della Juventus, poi ci provò con il Torino e quando capì che lì del suo passato nel Dinamis non gliene fotteva a nessuno, finì a etichettare le bottiglie del tuo fottuto spumante. Da un pezzo Kalamata fa la talpa nella fabbrica del Cinzano, qualche mafioso va regolarmente a stoccare le casse e le piazza al mercato nero. – Io vado dal mio bomber! – Reginaldo, non farmi girare i coglioni!

Onassis si alzò in piedi e buttò per terra tutte le cianfrusaglie che aveva sulla scrivania, tanto per intimidire il mister, dal momento che le sue frottole erano appena iniziate e la reazione istintiva di La Cruz doveva essere stroncata sul nascere. – Il tuo bomber del cazzo ora ha deciso di ingrandirsi, un po’ alla volta ha fornito ai suoi amici mafiosi le informazioni per fare un buon Cinzano e loro hanno deciso di arrivare in Grecia, solo che a Patrasso i loro amici sono i miei nemici, perché io una talpa non ce l’ho mai avuta, il mio Cinzano viene da altri giri, Egitto, Libia. I mafiosi vogliono un greco che li accompagni fino a Patrasso, Kalamata deve restare in fabbrica e così ha chiamato il suo amico Aristarkos dicendogli di farsi furbo e non fare come lui, che ha aspettato di morire come calciatore del Dinamis prima di fare la grana. Amico mio, se il Cinzano di Kalamata sbarca a Patrasso, io con il tuo spumante italiano devo chiudere e tu potresti berlo, ma a prezzi dieci volte maggiori di quelli del tuo presidente. – Ma i prezzi potrebbero anche restare quelli, perché non aspettiamo? – Onassis, inferocito, fece un sorso di bourbon dalla bottiglia ed esplose.- Tu non sei nel commercio internazionale e non ne sai niente! Il Cinzano di Kalamata è pregiato ma carissimo e tu con i ritmi che hai non potresti permettertelo, a parte il fatto che, ne sono certo, neanche ti piacerebbe, perché non c’è dentro quello che ha il mio! – Va bene, Egeiros, allora dimmi che dobbiamo fare. – In questa stanza sono io quello che può fare a meno del Cinzano, che è una fetta ridicola dei miei affari. Io ti dico solo come stanno le cose. Kalamata ha scelto Aristarkos come suo uomo per portare il Cinzano fino a Patrasso e a Patrasso i mafiosi ci verranno solo con Aristarkos, altrimenti faranno saltare tutto e non tratteranno più col tuo bomber. Quindi, o eliminiamo Aristarkos e tu continui a bere Cinzano ai miei prezzi, o facciamo finta di niente, ci teniamo il portiere e tu passi al bourbon. -Cazzo, Egeiros, così mi metti alle corde. – La scelta è tua, è una sporca faccenda, lo so, ma ti voglio bene e ti ho dovuto mettere in guardia: o Aristarkos o il Cinzano! Passa da me più tardi e dimmi cosa ti vuoi tenere.

Reginaldo era sconvolto, si sentiva come se avesse avuto una pistola puntata al cuore di un altro, con l’aggiunta che anche l’altro aveva una pistola puntata al suo cuore e solo chi avrebbe premuto per primo il grilletto non sarebbe morto. In paese mister La Cruz era l’unico che in vita sua aveva giustiziato più persone di Onassis, ma l’idea di far fuori il suo portiere lo faceva sudare freddo. Eppure del Cinzano libico sentiva di aver bisogno come dell’aria. Una volta, a Roma, – fece ad Onassis prima di uscire dall’ufficio – andai ad un comizio del partito e a un certo punto un gerarca disse che quando la vita esige di scegliere tra due strade ugualmente dolorose, allora il solo modo per non sbagliare è scegliere quella più supinamente fascista! Spero di non sbagliare, Egeiros! Tu che cosa mi consigli? – Ti consiglio di pensare a quel gerarca.

Il presidente rimase solo, sicuro che Reginaldo, pur con la morte nel cuore, avrebbe sacrificato Aristarkos. Ora che dal suo piano di morte non poteva tornare più indietro, Onassis era molto agitato e iniziò a ripetersi che era tutta colpa del due di picche ricevuto da Arpamidis, che lo aveva inferocito al punto da elaborare contro Aristarkos una vendetta truce e malsana, una vendetta che, diventando un omicidio, si spingeva ben oltre le sue intenzioni iniziali. Come tutti i grandi criminali, il presidente del Dinamis era lacerato dall’impossibilità di ingannare se stesso così come poteva ingannare gli altri e quel giorno, servendosi di mister La Cruz e della sua dipendenza cronica dal Cinzano tagliato con chissà cosa, si sollevò perfino dal fastidio di mettere la firma sulla condanna a morte, ma il prezzo di tutto questo ancora non lo conosceva.

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