Disprezzato dai tifosi argentini e italiani, Higuain non salirà mai sull’Olimpo del calcio. Parola di chi lo abita.
Un giorno mi sveglio, qui a Buenos Aires, con la notizia di Higuaín alla Juve. Un’occhiata ad anatemi e piagnistei, e via, la vita continua, mi son detto, ma già al mattino, appena messo piede fuori al portone, i pullman della compagnia “GonzalBus” che stazionavano di fronte casa mi hanno fatto ripiombare nella più cupa disperazione. Non potevo far finta di niente: dovevo pregare gli dèi del calcio perché rispondessero al mio disperato “perché?”.
Gli dèi del calcio esistono, eccome. Vivono sui monti, proprio come i loro colleghi greci di qualche religione fa. Si aggirano sul colle di Superga, sul Vesuvio, sul Corcovado di Rio, sull’Aconcagua argentino, e dalle sommità dell’intero pianeta sorvegliano campetti di calcio e stadi, i loro templi, e intervengono nelle faccende umane. Per invocarli, ho preso in considerazione l’idea di tagliare la maglietta di Higuaín, con cui andavo a correre finora, in trentasei pezzettini da cospargere nei bidoni intorno agli stadi di Argentinos e Boca Juniors. Prima che compiessi questa follia mi sono apparsi in sogno. Avevano il volto di Ghiggia e Schiaffino (o di Di Maria in bianco e nero, se volete). C’era William “Fatty” Foulkes, portiere inglese di 150 chili di fine Ottocento. C’erano Julian Ross e Benji Price. C’erano Valentino Mazzola e Obdulio Varela.
Mi hanno messo in mezzo in un torello. Non riuscivo a prendere il pallone e continuavo a urlare: «Perché, Pipita, perché?». Inseguivo con gli occhi la sfera, finchè questa non si piantava di colpo sotto una suola, quella di Manè Garrincha. “Allegria del popolo” mi sorrideva, e diceva: «I sacerdoti sapranno spiegarti».
I sacerdoti del calcio hanno visto almeno tremila partite, o letto almeno un milione articoli. Questi uomini baciati dalla follia vanno oltre le trame descritte dai giornali, e individuano fili nascosti tra campionati e coppe. Mi sono rivolto a due confessioni sacerdotali. Gli appartenenti all’ordine de “I miei zii” hanno preso il problema alla larga. Così, alle 5:47 del mattino, un messaggio sacerdotale mi spiegava la storia di Rabah Madjer, stella dell’Algeria eliminata al mondiale dell’82, eliminata dal “Patto di non belligeranza” fra Germania Ovest e Austria, un 1 a 0 con le squadre che non superavano il centrocampo. Il pubblico spagnolo inneggiava all’Algeria e urlava “Bacio, bacio”, mentre un cronista austriaco invitava gli spettatori a spegnere la televisione e quelli tedeschi interrompevano la cronaca. Gli dèi si indispettirono: non solo la Germania perse due finali nell’82 e nell’86, ma nel 1987 l’algerino Madjer, in forza al Porto, fece fuori con un gol di tacco il Bayern Monaco zeppo di nazionali tedeschi dell’82. Così operano gli dèi del calcio, spiegavano gli zii. Sì, ma Higuaín?
Anche ai sacerdoti dell’ordine “Amici che sbagliano i pronostici” premeva un’ampia dimostrazione di esistenza divina: mi parlarono dell’ultimo Germania-Italia. Ogni buon sacerdote, dicevano, sapeva che gli dèi del calcio punivano così, nel modo più crudele, la scelta di dare la 10 a Thiago Motta. Allo stesso modo gli dèi, arrabbiati per il furto degli juventini a Pechino, li punirono a Doha con un pareggio al novantesimo e con una sfortunata serie di rigori. I napoletani piagnoni di fronte alla famosa testata di Bonucci, erano in realtà puniti per il rigore inesistente avuto a Palermo una settimana prima. E i cinque scudetti bianconeri castigano a dovere il vittimismo partenopeo, che agli dèi non piace.
Ma perché il Pipita, perché? Quale hubris, quali colpe pagava il tifo napoletano?
Tutti i sacerdoti, infine, concordarono. Eccolo qui il perché:
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Edinson Cavani, trascinatore sudatissimo e prolifico di un Napoli mediocre, massacrato per mesi da presidente e stampaccia per questioni familiari, andò a respirare altre arie (e vittorie) in terra francese. Alla prima amichevole al San Paolo, venne fischiato. Da uomo, reagì. La mente dei napoletani era offuscata da cinque, sei pennivendoli che ne plasmavano la mente e che fecero della fedeltà coniugale del Matador una questione cittadina. Dall’alto del Vesuvio, gli dèi guardavano e dissentivano. E ora puniscono i colpevoli: Higuaín va alla Juve, e Cavani al Psg assume un altro sapore. I tifosi del Napoli pagano così il loro debito con il cielo.
E con l’argentino come la mettiamo? Non certo gli infortuni, barbarità desiderate da trogloditi senza dèi, ma una qualche punizione l’avrà? L’Argentina mi ha risposto. Qualche settimana fa, vedendo la Coppa America nei bar, sentivo gli insulti rivolti al Pipita: «Gordo!» (grasso),«Pecho frío!» (senza passione), «Sin huevos!» (senza attributi). «Que se vuelva a Napoli», diceva un amico argentino durante gli ottavi. E io, miserabile, lo difendevo: “Vi rendete conto che state parlando dell’attaccante più forte del mondo?”. Non bastava?
Gonzalo Higuaín è figlio di Jorge, ex giocatore del Boca Juniors, passato, dopo una parentesi in Francia, agli odiati rivali del River Plate, dove fu anche capitano. Considerato dai tifosi del Boca un traditore, segnò un gol in un clasico ed esultò.
Gli dèi si infuriarono: il River dovette affrontare anni di sconfitte con il Boca, anche decisive ai fini del titolo. Non solo: la colpa del padre è ricaduta sul figlio, come nell’antica Grecia. Basta vedere i meme che circolano su internet: dopo i tre gravi errori sotto porta, un anno dopo l’altro, in tre finali di coppa, Higuaín in patria è considerato un mezzo cieco, uno che ci vede doppio e non centra mai il bersaglio, uno che sbaglia in generale.
“Eameo”, pagina satirica con 870mila iscritti (più del nostro Spinoza), immagina il passaggio alla Juve così
e così
Tra i commenti le dichiarazioni del Pipita: «Sono contento di essere in una squadra importante come il Torino», «Al Giuseppe Meazza mi sentirò a casa, nel club più importante d’Inghilterra». Per noi un cecchino, per gli argentini una specie di babbeo, un brocco.
Già è castigato Higuaín:
Disprezzato dai tifosi argentini e italiani. Non salirà sull’Olimpo del calcio, facesse anche quaranta gol a campionato. A meno che il cielo non gli consegni qualche gol in finale o una coppa importante. Ma gli dèi sono vulnerabili, e sanno che gli uomini sono pronti a destituirli e a cambiare religione. Nella sacra scrittura – “Fútbol”, di Osvaldo Soriano – c’è un intervista al dio uruguayo, Obdulio Varela. Finisce così, e risponde ai miei quesiti: “Non vale la pena mettere la vita in una causa che è sporca, inquinata. Chi ne è capace, lo faccia. Un giorno dovrà darne conto; allora sapremo chi è chi e se valeva la pena sporcarsi”.