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Vardy riporta la fiaba Leicester sulla terra e va a giocare con l’Arsenal

Vardy riporta la fiaba Leicester sulla terra e va a giocare con l’Arsenal

Jamie Vardy sosterrà oggi le visite mediche per l’Arsenal. E questa è una cosa che di certo non fa piacere a tutti quelli che, durante questa stagione, hanno sentito e fatto proprie emozioni e sensazioni provenienti da Leicester, luogo di una favola moderna e di una vittoria irripetibile. Si è fatta tanta retorica intorno alla squadra e al club di Ranieri, che però era ed è perfettamente addentro il circuito calcistico. È stata costruita una narrativa, intorno alle Foxes, che non è assolutamente aderente alla realtà.

Perché sì, Ranieri, la squadra proletaria, la sorpresa assoluta che si invola e vince la Premier League. Ma ci sono anche una proprietà ultramiliardaria e un fatturato praticamente pari a quello del Napoli (alla seconda stagione in massima serie), oltre che una serie di operazioni finanziarie poco trasparenti su cui sta indagando la Football Associations. Con questo non vogliamo togliere nessun merito al Leicester, ci mancherebbe. Ha appassionato anche noi, ha davvero riconciliato tutti noi con i valori più nobili e alti del calcio. Però, da qui a farne l’emblema di una roba vintage, ancestrale e per questo pura e perfetta, ce ne passa.

Lo stesso dicasi per i suoi calciatori, e la dimostrazione è arrivata proprio in queste ore. Perché Jamie Vardy è stato acquistato da una delle grandi di Premier League, che ha pagato la sua clausola rescissoria. Un’operazione lampo, addirittura «shock» per il Daily Mail, condotta in assoluta velocità e (quasi) segretezza da Arsene Wenger. Che ora aspetta l’attaccante 29enne a Londra per le visite mediche e ci dà l’ennesima lezione su cos’è il calcio. Su quello che in realtà è sempre stato, a parte casi rari e isolati. I calciatori sono professionisti, Vardy è un professionista. L’Arsenal ha pagato la clausola rescissoria per strapparlo al Leicester e lui ha detto sì. Cioè, non è ancora ufficiale, ok. Ma il punto è un altro: dov’è finita la riconoscenza per averti scovato in quinta serie? Dov’è l’attaccamento a quella favola che hai contribuito a costruire? Dov’è la voglia di giocare la Champions con gli stessi colori con cui hai affrontato la Championship? Non c’è. Ma Vardy non è il lupo cattivo.

Perché tutti questi sentimenti non ci sono mai stati, o magari sono esistiti in pochissimi calciatori. Quelle che noi chiamiamo “bandiere”, e che dalle nostre parti si contano sulle dita di una mano. Totti, Zanetti, Maldini, Del Piero. Tutta gente che ha giurato fedeltà eterna alla propria squadra. Nessuno, però, ha mai pensato che le squadre di questi signori, tutto sommato, non erano poi così male: Roma, Inter, Milan, Juventus. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che “Totti ha rifiutato il Real Madrid per restare a casa sua”. Vero, certo. Onore a Totti. Ma, unicità del caso a parte, qui ci sono da valutare dinamiche sociali, d’immagine, persino politiche molto più grandi. In primis quel famoso “senso di appartenenza” radicato nel romano a Roma che altri signori, magari pure Jamie Vardy da Sheffield e non da Leicester, non possono conoscere.

Con questa cessione, il Leicester e Vardy escono ufficialmente dalla retorica della storia fiabesca per entrare in quella un po’ più realistica del calcio moderno. In quella, come scritto sopra, del circuito del pallone di oggi. Quella dei mercenari, dei calciatori voltagabbana. Una roba che può non piacere, che sicuramente non piacerà. Che non è piaciuta neanche al Guardian (che scrive testuale: «Tutti avremmo sperato – dai, ammettiamolo – che il Leicester mantenesse almeno per un anno la squadra che è riuscita a vincere il titolo»). Ma che è vera, veritiera, inevitabile. Questione di soldi, ma anche di opportunità. Champions per Champions, qualcuno dirà. Vero. Ma quante possibilità ci sono che il Leicester faccia la stessa strada dell’Arsenal nella massima competizione continentale o magari rivinca la Premier? Potrebbero anche essercene, certo. La palla è rotonda, e nei dintorni del King Power Stadium lo sanno meglio che in ogni altro posto. Però sono sempre di meno rispetto a quelle dell’Arsenal, soprattutto in relazione al futuro prossimo. E lo dice proprio quella storia che i tifosi di tutto il mondo sbandierano come il proprio valore principale. L’Arsenal è e resta l’Arsenal; idem per il Leicester. Vardy dovrà aver pensato per forza pure a questo, anche se a qualcuno non va proprio giù.

Tipo ai tifosi del Leicester, che dopo aver subito sulla propria pelle questa lezione sul calcio degli anni Duemiladieci ne hanno impartita un’altra, forse ancora più significativa, sullo stesso argomento. La notizia dell’addio di Vardy ha scatenato le reazioni social dei fan delle Foxes, che hanno inondato i profili dell’attaccante e persino quello della moglie di richieste di rimanere a Leicester e addirittura di insulti. Tanto che la signora Rebekah, fresca sposa del centravanti oggi impegnato con Hodgson e la Nazionale per la preparazione all’Europeo, ha pubblicato sul suo account personale un messaggio in cui esprime tutta la sua delusione per il trattamento riservato dai fan a lei e suo marito: «Non ho mai dettato legge nella carriera di mio marito, non è giusto che i tifosi del Leicester mi attacchino».[wpca_cookie_allow_code level=”1″]

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Anche questa è una lezione, che a Napoli ricordiamo bene per il caso David Lopez, insultato su Twitter il giorno del suo arrivo. È una deriva, pure questa inevitabile, che nasce dalla pericolosa commistione tra la figura pubblica di un calciatore e la sfera privata, che i social mettono in qualche modo in costante pericolo. Le piattaforme Facebook e Twitter sono diventate una terra di mezzo tra il dietro le quinte e la public life dei giocatori, e questo finisce spesso per coinvolgere anche persone che, in realtà, non c’entrano nulla. Come David Lopez due anni fa, al centro del contenzioso infinito tra De Laurentiis e i tifosi in disaccordo con il suo mercato e la sua gestione.

Come la signora Vardy, accusata dai più di aver “influenzato” le scelte di suo marito. E di aver quindi spinto per un sì all’Arsenal del calciatore-simbolo della favola-Leicester. Cose che si sono sempre dette, qui a Napoli ma anche in tutto il resto del mondo: a memoria d’uomo, il caso Di Natale (con la moglie che si sarebbe opposta al ritorno a Napoli di Totò) o quello di Shevchenko, via dal Milan nel 2006, si disse, a causa della volontà della compagna. Oggi, con i social, questo chiacchiericcio diventa di interazione e portata pubblica. E quando una cosa diventa di interazione e portata pubblica, è aperta pure a gente che non riesce a riconoscere il confine tra privacy e diritto di parola. Tra intelligenza e stupidità. Una linea sfumata, che calciatori e parenti dovrebbero in qualche modo cercare di rendere riconoscibile. Magari spegnendo i social, in modo da evitare tanto trambusto inutile. Forse è troppo, negli anni del calcio globalizzato.

Lo stesso calcio che contempla e vede Vardy lasciare il Leicester dell’Arsenal. Solo che roba così, in realtà, succede dalla notte dei tempi. Solo che oggi forse se ne sa di più. Forse è per questo che fa più male ancora, ma non dovrebbe sorprendere. È sempre andata così.

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