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Il cinema americano torna sul “cattivo” Nixon e nessuno polemizza

Negli Stati Uniti nessuno ha nulla da ridire sull’approfondimento cinematografico di una figura controversa, non come da noi per Gomorra

Il cinema americano torna sul “cattivo” Nixon e nessuno polemizza

Sta per uscire nelle sale un altro film che vede protagonista Richard Nixon, il presidente statunitense “obbligato” a dimettersi nell’estate del ’74 per evitare l’impeachment. Stavolta, quello che è stato forse il più raffinato politico americano, sarà al centro di una pellicola che racconta di un formidabile incontro avvenuto alla Casa Bianca nientepopodimeno che con Elvis Presley. Titolo semplice per una storia curiosa e vera: “Elvis & Nixon” della regista Liza Johnson.

E’ la settima volta che il Cinema si occupa di uno dei personaggi più controversi della storia statunitense. “Dick” Nixon è stato il classico self made man. Uno che ha sempre voluto primeggiare. Primo presidente americano nato sulla West coast, per vedere un altro nativo della costa sul Pacifico seduto nello studio ovale bisognerà aspettare Obama. Raffinatissimo oratore, perse le presidenziali del 1960 contro John Fitzgerald Kennedy dopo un memorabile faccia a faccia in televisione. Anche questa fu una prima volta. Mai in precedenza due candidati alla presidenza statunitense si erano confrontati davanti alle telecamere. E il bello, cattolico e sicuro John ebbe la meglio sul colto, quacchero e sudato Richard.

Eletto presidente nel ’68, fu riconfermato nel ’72 con una maggioranza record. A metà mandato, nell’agosto del ’74, Nixon si dimise per lo scandalo Watergate. Anche questa fu una prima volta. Fino ad allora, i presidenti americani non avevano terminato il mandato solo per sopraggiunta morte dovuta a cause naturali o ad assassinio. I suoi ammiratori dicono che fu l’uomo che tirò fuori l’America dalla guerra del Vietnam ed il suo braccio destro, Henry Kissinger, fu insignito del Premio Nobel per la Pace. Fu il primo presidente americano ad andare in Cina.

I suoi detrattori dicono solo due parole: scandalo Watergate. Ma perché Cinema e tv hanno preferito raccontare la vita e il personaggio di un uomo che ha macchiato indelebilmente la massima istituzione americana, mentre eroi come Lincoln o Kennedy, hanno goduto di un’attenzione sicuramente minore dal punto di vista della produzione sul piccolo e grande schermo?

Il fatto è che, con quella in uscita, si raggiunge lo straordinario numero di sette pellicole per un presidente che non è stato mai considerato un padre della Patria come Lincoln o un affascinante eroe come Kennedy. Si è cominciato nel ’76, ad appena due anni dalle dimissioni, con “Tutti gli uomini del presidente”, il cult firmato da Alan J. Pakula con la coppia Redford-Hoffman nei panni del duo Woodword-Bernstein, i giornalisti del Washington Post protagonisti dello scoop del secolo. Altro film, meno conosciuto del primo, porta la firma di un maestro del Cinema: Robert Altman con “Secret honor” del 1984. Pressoché clandestino, almeno per le sale italiane, è “Dick”, il film di Andrew Fleming del 1999. Sicuramente più noto al pubblico è “Nixon, gli intrighi del potere”, del 1995, dove un grande Anthony Hopkins interpretava il presidente secondo Oliver Stone. Nel 2004 Sean Penn e Naomi Watts sono gli interpreti di uno splendido film, “The assasination of Richard Nixon” di Niels Mueller e nel 2008 Ron Howard, altro grande regista che si cimenta con il racconto del Watergate, dirige il meraviglioso e sottovalutatissimo “Frost/Nixon”. Questo racconto “postumo” dello scandalo poteva sembrare il final cut di Hollywood sul Presidente ed invece riecco Nixon di nuovo nei titoli, stavolta interpretato da Kevin Spacey.

Resta la domanda: perché grande e piccolo schermo hanno preferito il presidente “cattivo” a quelli “buoni”? E’ solo l’antica questione del pubblico che ama i personaggi negativi e si annoia con quelli positivi? Teletrasportando il dilemma all’ombra del Vesuvio: meglio girare tanti “Gomorra” o tanti “Un posto al sole”? Tralasciando le folcloristiche minacce ai cattivi, preoccupante segno di un’ignoranza che riecheggia la mitica nonna che rispondeva in modo partecipe ai saluti che arrivavano dal video in bianco e nero, negli ultimi mesi il dibattito sullo schermo che vomita immagini e situazioni negative sulla Napoletanità, ha visto posizioni tanto opposte quanto argomentate.

L’ennesima produzione su un personaggio che nella realtà ha osato infangare la sintesi e l’essenza degli USA, qual è l’istituzione presidenziale, ma che rappresenta ormai una star hollywoodiana, fa riflettere. Ma forse uno dei punti di forza degli americani e della loro democrazia sta proprio nel metabolizzare il lato oscuro del passato o del presente attraverso il Cinema e la fiction. Il Vietnam, altro buco nero della Storia a stelle e strisce, è stato compreso ed esorcizzato non certo grazie a film di propaganda come “Berretti Verdi”, dove John Wayne faceva lo sceriffo nella jungla del sud est asiatico e i vietcong incarnavano gli indiani cattivi, ma attraverso capolavori nudi e crudi come “Apocalypse Now” o “Il cacciatore”, giusto per limitarci alle pellicole più importanti.

La capacità di raccontare e romanzare il lato negativo è solo il primo passo per affrontare la realtà, per quanto drammatica o crudele possa sembrare. È inutile polemizzare sugli effetti di una fiction sulla gente o sui riflessi che Ciro e Genny potrebbero avere sui flussi turistici e sul buon nome di Napoli. Se proprio non ne vogliamo parlare, non guardiamolo. Basta cambiare canale e rivolgere lo sguardo altrove, dove c’è il mare, il Vesuvio e la pizza.

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