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Gli effetti di Bruce Lee sulla gioventù (ben prima di Gomorra)

Gli effetti di Bruce Lee sulla gioventù (ben prima di Gomorra)

Più o meno quarant’anni fa l’unico cinema di un popoloso e abbastanza malfamato quartiere della periferia napoletana, il Rivoli, al confine tra i rioni Luzzatti ed Ascarelli, cominciò a proiettare film del genere arti marziali. Da un giorno all’altro la sala, con posti non numerati e rigorosamente in legno senza imbottitura, si trasformò da storico “proseguimento” della “prima visione” a palestra di arti marziali. Il genere che divenne presto cult nei cinematografi di seconda e terza visione, proveniva da Hong Kong ed aveva un eroe indiscusso che presto sarebbe diventato Mito: Bruce Lee.

Non è il caso di soffermarsi sull’influenza che questo tipo di Cinema ha avuto su Tarantino e su alcuni capolavori del genere Pulp. Può essere invece interessante ed attuale comprendere l’influsso che quelle pellicole piene di violenza e sangue, un Gomorra ante litteram, hanno avuto su quella generazione che andava al cinema quando non c’erano smartphone e social e la tv dei ragazzi cominciava alle 18,30.

Non appena il film giungeva ai “colpi” conclusivi e si riaccendevano le luci in sala, tutte le “mosse” di karate, kung fu, jujitsu e quant’altro venivano provate sulla pelle dei vicini di sediolino. Era un’orgia di urla: quelle che accompagnavano il colpo e quelle di dolore per il colpo ricevuto. Il percorso che dalla sala portava al “foyer”, il saloncino con i manifesti dei prossimi film in programmazione e il bar con la gazzosa, era complesso e irto di ostacoli. Bisognava rispondere colpo su colpo agli attacchi di quelli più esaltati. Qualche volta ci scappava il taglio. O perché si finiva con la testa nel muro dopo una spinta o perché qualcuno, più esaltato dalle gesta dei suoi eroi o solo un po’ più delinquente degli altri, era armato. Erano i più pericolosi: quelli che nascondevano nei pantaloni un’arma micidiale come sapevano esserle quelle fatte in casa. Si trattava dei due bastoni uniti da una catenina, che il grande Bruce faceva roteare con ineguagliata maestria prima di fermarli sotto le ascelle con stile inimitabile. Nella realtà operaia del tempo e del luogo, i due bastoni erano di legno segato da una vecchia scopa e legati da una catenella che in passato azionava uno sciacquone.

Arma letale, se non si faceva particolare attenzione o se colpiva alle spalle. Beninteso: la battaglia per uscire indenne o con ferite non sanguinose dal cinema era anche una lotta di classe nella periferia metropolitana. Di solito le bande erano composte da figli del sottoproletariaro urbano, più cattivi e meglio armati e con alle spalle famiglie numerosissime; e figli di operai o piccoli impiegati, con famiglie meno numerose e con la certezza che almeno la scuola dell’obbligo l’avrebbero terminata. Gli scontri erano reali e lasciavano segni e “ciaccate” da suturare al pronto soccorso nei casi più gravi. I ragazzi delle bande “borghesi” spesso, al rientro a casa, beccavano poi il “resto” dalle madri arrabbiate per gli ingiustificabili lividi di uno che sarebbe dovuto andare al cinema e chissà dov’era finito.

Non c’era spazio sui giornali o nei pochi telegiornali per quelle lacrime e sangue né si scrivevano editoriali sulle conseguenze o sugli effetti di Bruce Lee sulla gioventù di periferia dell’epoca.

Quel cinema è crollato così come è sprofondato il livello del degrado di quei quartieri. Tra i ragazzi che dopo il film combattevano urlando e mimando mosse da karateka, qualcuno è finito male e qualcun altro malissimo. Però ce ne sono tanti che hanno avuto una vita normale o si sono distinti in prestigiose carriere professionali, addirittura ai vertici della Polizia o della diplomazia.

La trama, per tutti quei ragazzi, non è dipesa da un film o da una fiction, ma dalle strutture e dalle condizioni in cui hanno potuto vivere, studiare e lavorare.

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