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Domani il San Paolo applaudirà (ancora) Edy Reja il tecnico gentiluomo che non conosce la vecchiaia

Domani il San Paolo applaudirà (ancora) Edy Reja il tecnico gentiluomo che non conosce la vecchiaia

Edy Reja è l’ultimo allenatore del Napoli di cui si hanno notizie certe sull’accoglienza che riceverà al San Paolo. Nel senso che è il solo ad essere accolto bene da tutto lo stadio. Quando si trattò di rivedere Mazzarri, il pubblico si divise; quando si tratterà di riaccogliere Benitez, chissà come andrà a finire. Andare più indietro è un esercizio difficile quanto inutile: Ventura e Donadoni, per motivi diversi, non hanno lasciato il segno. Reja sì, invece. Perché un’avventura di quasi cinque anni e due promozioni e una qualificazione europea (seppure solo tramite Intertoto, al primo tentativo) non si dimenticano facilmente.

Eppure, Reja e il “suo” stadio non si salutarono in totale armonia. Durante la crisi del 2009, che portò all’esonero del tecnico goriziano, il San Paolo fischiò lui e una squadra che stava smarrendo condizione fisica e certezze dopo l’inizio a luglio causa Intertoto. Reja, da profondo conoscitore della realtà calcistica e napoletana, già allora ebbe da ridire sull’atteggiamento di un pubblico troppo facile a deprimersi: «Il San Paolo era la nostra roccaforte ed abbiamo perso anche questa sicurezza. Non siamo più garibaldini e freschi, il momento è difficile soprattutto per i tifosi, anche se lo vivono in maniera esasperata». Dopo un periodo nero di 7 sconfitte e 2 pareggi in 9 partite, fu inevitabile l’esonero: «De Laurentiis non poteva fare diversamente, la squadra era entrata in un torpore agonistico tale che solo uno scossone del genere avrebbe potuto risollevarla», dirà subito dopo l’allontamento da parte del club partenopeo. In realtà, neanche l’arrivo di Donadoni bastò a far resuscitare il Napoli che arrivò ultimo nella classifica del rendimento nel girone di ritorno e ottenne solo due vittorie fino al termine della stagione. 

Edy Reja aveva già allora 64 anni, ed era difficile immaginarsi un futuro immediato o lontano ancora in panchina. Tanto che, pochi mesi dopo l’addio al Napoli, preferì ritagliarsi la prima avventura all’estero della carriera: l’Hajduk Spalato fu una scelta che sapeva di commiato. E invece, fu solo il nuovo sparo dello starter. L’esperienza croata durò poco, il tempo che la Lazio impiegò a licenziare Davide Ballardini e a chiamarlo come soccorritore per la salvezza. La squadra di Lotito mise sotto contratto Reja in piena zona retrocessione, alla fine arrivò 12esima con 7 vittorie e 3 pareggi in 15 partite. Quanto bastò per una riconferma che nessuno si aspettava, e che invece diede il via alla seconda giovinezza dell’allenatore goriziano: due stagioni alla Lazio, un quinto e un quarto posto sempre a uno sputo dalla Champions, persa il primo anno solo a causa degli scontri diretti a sfavore contro l’Udinese di Guidolin.

Il 3 aprile del 2011, il San Paolo lo riaccolse per la prima volta dopo l’arrivederci di due anni prima. Fu un bel momento, anche perché lo stadio era pienissimo prima di una gran partita contro la sua Lazio, che valeva per l’accesso Champions e anche per una corsa scudetto con il Milan che era ancora viva per gli azzurri nel frattempo passati a Mazzarri. In 70mila applaudirono il tecnico friulano che qualche tempo dopo dichiarerà di essersi commosso. Poi, però, perse la partita per 4-3, dopo quelli che restano tra i 90 minuti più emozionanti dell’era De Laurentiis. 

Lascia la Lazio un anno dopo, e stavolta sembra davvero finita. Perché con Lotito non si scherza e perché, nel frattempo, siamo arrivati ai 68 anni d’età. E invece, ancora una volta, Reja si rialza: lo richiamano nel 2014 ancora da Roma, per sostituire Petkovic e per l’ennesimo miracolo. Che avviene solo a metà, perché alla fine sarà anche nono posto a soli 4 punti dall’Europa League e dopo 36 punti in 21 partite. Le ultime sulla panchina laziale ma non in Serie A. Nello scorso campionato, quando l’Atalanta conosce la prima grande crisi nel rapporto con Colantuono, Edy ha il profilo perfetto per condurre in porto una salvezza complicata giunta solo grazie a 8 pareggi (e 2 vittorie) in 13 partite. Non doveva essere facile, non lo è stato. Va meglio quest’anno, quando gli orobici lo riconfermano (e intanto siamo arrivati a 70 anni) e vivono un inizio di campionato scoppiettante con Moralez e Gomez a vivacizzare l’insospettabile tridente dell’uomo di Gorizia. Che sorride, si bea del suo calcio offensivo e poi perde il piccolo numero dieci argentino, ceduto in gennaio ai messicani del Leon. Saluta anche German Denis e non è facile attutire tutti questi colpi del mercato. Almeno finché Borriello non si riscopre grande bomber e Diamanti non torna a mostrare grande calcio anche da noi dopo l’esilio cinese: la salvezza è praticamente certa da domenica scorsa, dopo la vittoria di misura col Chievo. L’ultima grande impresa di Reja che verrà a prendersi gli applausi del suo San Paolo prima di aspettare l’evolversi della sua situazione contrattuale. Il rinnovo è lontano, si parla di Ventura e Pioli come possibili sostituti.

A questo punto, mai dire mai sul futuro di Reja. Che ha saputo sempre rialzarsi dopo ogni caduta. Anche ad un’età in cui molti allenatori sono ormai considerati ex. Reja ha saputo reinventarsi, ha abbandonato l’etichetta di mister difensivista per abbracciare un calcio più veloce e offensivo (vedasi il tridente atalantino di inizio stagione), ha riadattato il suo credo alle caratteristiche della rosa a disposizione. La difesa a tre importata a Napoli e sfruttata poi anche da Mazzarri si è evoluta in una linea a quattro con terzini di spinta, Conti (o Raimondi) a destra e il frizzante Dramé a sinistra. Con De Roon, seguito anche dagli azzurri, a fare da collante tra difesa e centrocampo. L’anno scorso, l’1-1 interno con gol di Pinilla e Zapata costò al Napoli una fetta di Champions League. Ma gli orobici e il loro mister dovevano ancora salvarsi. Quest’anno, a obiettivo praticamente raggiunto, un altro incrocio e altri applausi del San Paolo. Per un galantuomo che ha saputo essere, prima di tutto, un grande allenatore.

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