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Le parole di Saviano e questo Napoli che proprio non vuole considerarsi forte

Le parole di Saviano e questo Napoli che proprio non vuole considerarsi forte

La Champions League. Vogliamo fare gli scaramantici? Ok. E allora la Champions League sicuramente la vedremo ai preliminari. Ma se dovessimo battere il Frosinone, giocheremmo almeno sei partite con la musichetta e il telone. Sarebbe la terza partecipazione dell’era De Laurentiis. Più un preliminare perduto. Negli ultimi sette anni, Napoli sempre in Europa. E negli ultimi sei, un anno sì e un anno no in Champions League (sempre toccando ferro). Non sappiamo quante squadre in Europa possano vantare questo ruolino di marcia. Oltre le big. Non il Siviglia, ad esempio, che gioca sempre l’Europa League (e la vince peraltro). Non il Liverpool. Non il Manchester United che è dietro al Napoli nel ranking Uefa. Non il Wolfsburg. Insomma, il Napoli si è abituato all’Europa. È un club che persino in una stagione non esaltante in Europa League ha conservato un posto nelle prime venti posizioni del ranking. 

È il Napoli, club che possiamo definire il secondo più forte d’Italia. Una società che non può contare su un merchandising come ad esempio il Real, il Barcellona, ma nemmeno la Juventus: leggenda vuole che il Real quasi rientrò del costo per James Rodriguez con le sole magliette. Una società con un uomo solo al comando, Aurelio De Laurentiis, che fin qui ha ottenuto più risultati dei Della Valle, dei Pallotta, dei Thohir.

E una società che ha sempre, almeno fin qui, brillantemente superato i momenti chiave. Che nel Napoli sono i passaggi da un allenatore all’altro. Non ha mai smesso di comportarsi da Napoli. Da Mazzarri a Benitez fino a Sarri. Un’operazione, quella Sarri, particolarmente audace. Meritocratica si direbbe. Particolarmente originale in Italia dove impera da sempre la politica del patto di sindacato. De Laurentiis ha rotto gli schemi e ha preso Sarri. Un’americanata. Come Apollo Creed diede uno chance allo stallone italiano. Ma De Laurentiis aveva in dote una squadra. E che squadra. Che non ha venduto in estate, anzi ha rinforzato. E l’ha affidata allo sconosciuto che ha fatto la gavetta. L’esperimento è riuscito. Il Napoli ha giocato un signor campionato. Ha quasi conquistato il secondo posto, è stato anche in testa, ha a lungo conteso lo scudetto alla Juventus. Soprattutto, ha mostrato un gioco spettacolare sempre proteso alla costruzione all’attacco senza peraltro disdegnare la fase difensiva che è diventata spietata. Perché Koulibaly talvolta è feroce nello sradicare i palloni dai piedi degli avversari, così come non lascia scampo l’occupazione del campo. 

Il Napoli quest’anno ha dimostrato a sé stesso e agli altri che c’è. E se vogliamo questo è un difetto. Il Napoli crede poco nelle proprie capacità. Va subito in crisi. Tentenna. Non è sicuro. Sembra sempre sotto esame. Per colpa propria. Ed è questo il vero limite. È stata Napoli a racontarsi di una stagione fallimentare, la scorsa, che non è mai esistita. Sarri ha parlato di mentalità. Ma è una mentalità che dovrebbe riguardare anche l’allenatore e la società. È come se a un certo punto il Napoli si spaventasse della quota raggiunta. E non reggesse. Eppure non ce ne sarebbe motivo. Questa è una squadra di valore internazionale, è una squadra che ha fatto 12 punti in Champions e ha giocato le semifinali di Europa League. È una società che cinque anni fa ha giocato gli ottavi di Champions. Eppure si racconta sempre come una squadra rabberciata che si trova lì per caso e che magari l’anno scorso era in serie B.

Non è così. Non è vero. Ma questa errata consapevolezza di sé è un fattore di debolezza che nuoce alla competitività della squadra. È la consapevolezza di sé che fa la differenza in campo. Il Napoli non deve dimostrare niente. Nessuno deve conferire un marchio di qualità alla squadra. Occorrerebbe una seduta psicoterapeutica di gruppo – magari in un San Paolo pieno – in cui tutti ripetono come un mantra “siamo forti, siamo forti” modello namiaorenghechiò. Insomma, dovremmo liberarci della retorica dei parvenu, degli ultimi che compiono l’impresa. Basta. È un limite ormai. È un’immagine che non combacia più con la realtà. Oggi Il Mattino ha intervistato Roberto Saviano. Non ci addentriamo nei meandri di Gomorra, né nel giudizio sullo scrittore, ma riportiamo la sua risposta alla domanda sul suo rapporto con Napoli: «Napoli è solidale soltanto nella sconfitta, quando emergi in qualsiasi forma non ti è mai vicino. Napoli è splendida quando si è nello stesso guado; se qualcuno tenta di superarlo e ci riesce, diventa nemico immediato. Se esci fuori dal circuito degli amici, vieni visto come un traditore. Meccanismo da contrada italiana, che qui ha assunto un vertice estremo. Napoli ti è vicina solo quando sei isolato, pronta a mangiarti appena ti distingui».

Ci sembra una dichiarazione da perfetto napolista. C’è tanta nostalgia in questo periodo per Napoli capitale. Eppure sembra svanita la nobiltà e la statura di una capitale. Panni che fatichiamo sempre più a indossare. La Napoli calcistica deve scegliere cosa fare di sé, continuare a raccontarsi come una derelitta oppure prendere atto della propria crescita e smetterla di lamentarsi per il mercato, per gli arbitri, per la sorte avversa, per il presunto presidente pappone. Dovrebbe dire: “oh, noi siamo il Napoli, peggio per voi”. Se dovesse accadere, potremmo anche firmare pagine storiche per questo club.

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