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Così Atletico e Leicester hanno segnato la fine del modello Barçajax

Così Atletico e Leicester hanno segnato la fine del modello Barçajax

Il Guardian si addentra nelle vittorie di Leicester e Atletico e prova a elaborarne un discorso sulla storia della tattica. E sulla disgregazione del modello Barçajax, ovvero quell’ideale di calcio estetico e di possesso palla che ha caratterizzato la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila. 

Un passaggio che sembra un salto all’indietro nel tempo ma che in realtà segna un vero e proprio “Ritorno al Futuro”, così come recita il titolo del pezzo di Jonathan Wilson. Che parte dalla storia dei primi confronti Inghilterra-Scozia, roba del 19esimo secolo, e poi arriva fino al guardiolismo dei giorni nostri. Al calcio di possesso esasperato che ha in qualche modo monopolizzato l’attenzione di esteti e analisti negli ultimi anni, in contrapposizione alle filosofie meno visionarie di Mourinho primo grande avversario anche ideologico nonché vincitore (Inter-Barcellona del 2010, do you remember?) del regno del tiqui-taca. E poi di Klopp, Ancelotti, Heynckes. Non a caso, noi (come Wilson) citiamo tutti allenatori vincenti a livello nazionale ed europeo. E che, in qualche modo, hanno rappresentato il contraltare del gioco guardioliano

Più che registrare un reale cambiamento e quindi un graduale ritorno al passato, Wilson nota però come lo sviluppo tattico del calcio non sia un processo né ciclico né tantomeno lineare, quanto una sorta di summa tra teorie in qualche modo ridondanti ed elementi nuovi, adatti ai nostri tempi. Come il Leicester di Ranieri, che ai principi del 4-4-2 classico english style ha abbinato l’idea rivoluzionaria, per il 2016, di inserire un secondo uomo offensivo accanto alla prima Vardy. Il giornalista inglese scrive: «Con due attaccanti cambia la natura della fase difensiva. Jamie Vardy sarebbe stato così devastante in questa stagione se il secondo difensore centrale avversario avesse potuto distrarsi dalla marcatura del suo compagno offensivo Okazaki?».

Un altro parallelo interessante è ovviamente quello con l’Atletico di Simeone. Colchoneros sono definiti come gli eredi del calcio d’attesa tipico argentino, tutto teso alla difesa in zona bassa e alla ripartenza veloce e verticale. In qualche modo, una rivisitazione attualizzata di un’idea del passato che riesce a tornare in auge grazie a un’interpretazione moderna da parte di un allenatore. 

Volendo allargare il discorso all’Italia e al Napoli, dove si collocherebbe il gioco di Sarri? Probabilmente a metà tra il modello Barçajax e l’intensità tipica di uno schema puramente difensivo. Perché la squadra progettata dal tecnico toscano, e vista in campo quest’anno, è stata in grado di abbinare la capacità di mantenere il possesso pur non risparmiandosi in quanto a movimenti senza palla e pressing furioso nellla fase di recupero. Lo stesso mantenimento del pallone, a differenza però del tiqui-taca classico, è di tipo fondamentalmente verticale, orientato a liberare corridoi liberi per gli inserimenti degli esterni offensivi, dei terzini e della punta centrale. Una, come il calcio europeo richiede oggi. Non come il Leicester o l’Atletico Madrid, ma come Real Madrid, Bayern e tutte le altre grandi squadre continentali. Il resto lo fanno il controllo degli spazi in campo grazie alla gestione del pallone, concetto mutuato da Cruijff e da Guardiola. Insieme al grande dispendio fisico, alla base anche del calo di rendimento che, alla fine, è stato alla base del fallito inseguimento alla Juventus. Sarri, quindi, è lontano da Simeone e Ranieri. Da quel ritorno al futuro che non ci appartiene. E che renderà ancora più divertente il confronto tra questo nuovo, bellissimo Napoli e la Champions dell’anno prossimo. Sì, non vediamo l’ora. Anche per questo. 

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