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Gianfranco Zigoni, eccentrica bandiera veronese, e la sua unica volta al San Paolo

Gianfranco Zigoni, eccentrica bandiera veronese, e la sua unica volta al San Paolo

Il carattere del tipo, capelli lunghi al vento e barba lunga giusto due giorni, lo si evince dal racconto di un episodio che assume i caratteri leggendari anche a distanza di anni. Si dice che, in una trasferta della Juventus nel 1964, il grande Omar Sivori, idolo incontrastato del giocatore in questione, appena sceso dal treno gli sussurrò: «Ragazzo portami la valigia». Il giovanotto, che aveva deciso che il tempo della gavetta per lui era finito, si rivolse così al fuoriclasse argentino: «Eh no, caro Omar, adesso tu porta la mia». Da quel giorno ognuno si portò per sempre la propria valigia. Senza rancore.

Questo era ed è ancora Gianfranco Cesare Battista Zigoni, trevigiano del 1944, genio e sregolatezza del calcio romantico a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Sbugiardato più volte, in un rapporto di odio-amore, dal suo presidente Garonzi (quello della telefonata a Clerici nel 1974) che, quando giocava male, andava in giro a dire «Quello ha troppe donne, lo sfiniscono, è un figlio de puta…».

Tanto si è scritto e detto del suo caratterino. Ci limiteremo, in questa sede, ai fatti che poi hanno avuto conferma e non a semplici leggende metropolitane. Ad esempio, il ritiro a Veronello per lui iniziava sempre un’ora dopo i compagni perchè doveva smaltire le baldorie della sera precedente. Se non era stato in dolce compagnia, di notte girovagava e quando rientrava in camera, con la sua “Colt 5” apriva la finestra che dava sul parco e, dopo aver preso la mira, faceva saltare tutte le luci dei lampioni. Non solo donne ma anche motori. Era solito girare in Porsche e frequentava ristoranti, dava del tu al presidente e riusciva ad ottenere l’ingaggio che voleva ogni volta che minacciava di andarsene. Il pubblico lo adorava e lo acclamava con l’urlo “Dio Zigo, salvaci tu!” soprattutto dopo la fatal Verona del Milan in cui fu protagonista con due assist caricandosi la squadra sulle spalle e dando inizio alla Caporetto milanista.

Ebbe rapporti controversi anche con i tecnici Valcareggi e Cadè che ricorrevano a lui solo quando erano in difficoltà. Mitica la partita di quando entrò in campo con la pelliccia ed il cappello. Successe che aveva litigato con Valcareggi nel pre partita perché l’allenatore non voleva farlo giocare, aveva vinto la partita precedente anche senza di lui. Doveva essere panchina. E panchina fu. Ma, visto che era una giornata molto fredda, decise di scendere in campo con la pelliccia e il cappello. I compagni di squadra lo sfidarono e fecero la scommessa che se fosse entrato in campo così gli avrebbero dato 50000 lire. Entrò in campo conciato così e ci fu un boato, poi lui si girò verso il pubblico e tutti zittirono.

Un’altra volta, durante un’amichevole tra Verona e Vicenza, a pochi minuti dalla fine sul risultato di 0 a 0, dribblò quattro avversari e mise la palla all’incrocio dei pali. Dopo il gol se ne andò dritto negli spogliatoi accompagnato dall’ovazione del pubblico con una parte degli spettatori che abbandonarono lo stadio. Ebbe l’ultimo contratto a Verona basato sulle non squalifiche e sulle partite disputate, caso più unico che raro nel mondo del calcio. Insomma gli avrebbero decurtato l’ingaggio se avesse saltato delle gare. Il suo fu, però, un rapporto d’amore davvero profondo col Verona al punto che quando Simoni, allenatore del Brescia, gli comunicò che avrebbe giocato contro i gialloblu lui disse: «No Gigi, non posso giocare contro il Verona». Una passione per i colori gialloblu quasi da tifoso se pensiamo che una volta disse al figlio : «Mi farebbe piacere tu andassi a giocare col Verona un giorno, in uno stadio che non si chiamerà più Bentegodi ma Gianfranco Zigoni».

Nei suoi sei anni di Verona, dal 1972 al 1978, Zigoni ha giocato solo una volta al San Paolo contro il Napoli. Era la seconda giornata del campionato 1976-77, il 10 ottobre di 40 anni fa. Il tabellino recita 62000 abbonati e 8500 paganti, esordio di Vinazzani davanti al pubblico amico. Dopo il pallido 0 a 0 d’esordio a Catanzaro la squadra di Pesaola affrontava i gialloblu scaligeri vogliosi di fare la partita e vincerla. E così fu, quel giorno per il Verona non ci fu nulla da fare perché prima Savoldi su rigore, poi La Palma e ancora Savoldi maciullarono la squadra di Valcareggi nonostante gli ospiti avessero provato a più riprese a pareggiare la partita sbilanciandosi in avanti e lasciando campo fertile alle puntate degli azzurri.

Alla fine della partita, per i carichi dovuti agli allenamenti fatti in vista degli impegni di Coppa delle Coppe, il Napoli contò tre infortunati. Massa (distrazione lombare), Chiarugi (stiramento degli adduttori della coscia destra) e Vinazzani (sublussazione della spalla destra). Migliore in campo per il Napoli, secondo Giuseppe Pacileo, fu Bruscolotti che si beccò un 7 pieno. Si legge nella pagella della “mascella di Sassano”: «Addetto al controllo di Zigoni. l’uomo più temuto del Verona, gli ha impedito il tiro (salvo in una occasione) e buona parte del giuoco. Ebbene,occorre tenere presenti le doti di palleggio e l’imprevedibilità dell’estroso avanti veronese per valutare appieno l’impresa del terzino azzurro”. (da Il Mattino del 11/10/1976).

Gianfranco Zigoni, cavallo di razza del calcio italiano, oltre che una grande ala sinistra, è stato un personaggio straordinario. La sua vita è sempre stata costellata di appassionanti avventure calcistiche e non, di simpatici aneddoti e divertenti storie che hanno avuto come protagonisti principali donne e motori. Un calciatore libero, “maudit” ed indipendente, ingovernabile ed imprevedibile per allenatori e presidenti, un persona estroversa ed originale, a suo modo un romantico del calcio, un trascinatore di folle, una bandiera del Verona. “Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo”. Appunto, è quello che pensano i tifosi più anziani del Verona quando lo ricordano.

Una frase che sintetizza la simpatia e l’affetto da cui è sempre stato circondato il mitico “Zigo-gol”, in tutte le piazze dove ha giocato, da Torino, sponda Juventus, a Roma, da Genova a Verona, da Brescia ad Oderzo dove terminò la carriera a 43 anni. Con le sue doti tecniche avrebbe potuto raggiungere traguardi immensi, avrebbe potuto fare molto più delle 100 reti da professionista, di uno scudetto, di qualche convocazione con la Nazionale, ma per lui il calcio era un divertimento e così doveva essere vissuto. Insomma, football sì ma senza farsi riempire tutta la vita. Aveva altro da fare, il Zigo. Da qui la sua ribellione, i suoi scontri con gli arbitri, il ‘no’ ai pallosi ritiri, il suo essere un po’ Best e un po’ Meroni, un po’ Sivori ed un po’ Eusebio. In verità ed in fondo lui era solo Zigoni e di giocatori così ne nascono raramente.

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