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Maradona segnò, non protestò per la barriera. Napoli, smettila di piangere

Maradona segnò, non protestò per la barriera. Napoli, smettila di piangere

Il 3 febbraio 2016 il Napoli gioca a Roma contro la Lazio. Arbitra Irrati. Al minuto 69 interrompe la partita a causa degli ululati razzisti contro Koulibaly: un’applicazione ineccepibile del regolamento. Irrati viene eletto “eroe”: finalmente qualcuno che tutela le squadre, gli uomini, il Napoli. Finalmente qualcuno che se ne frega del Palazzo.

Oggi, dopo Udinese-Napoli ed alcune decisioni – pare – discutibili in Atalanta-Roma (non ho visto la partita) viene declassato a servo della Lega, della Juve, massone, rettiliano e affiliato al Bilderberg. Io non nego l’errore arbitrale, ma lo derubrico a semplice imprecisione umana, altro non è. 

La verità è che se vai a Udine o a Milano e giochi in modo più o meno osceno, meriti di perdere. 

Se vai a Torino cercando il pareggio e ti capita un tiro deviato all’88’, perdi.

Se con il Milan in casa non riesci a chiudere una partita contro un autobus, la responsabilità è solo tua.

E qui si nota la debolezza di una società calcio Napoli che non brilla in comunicazione né tantomeno ha un direttore generale: basta con arbitri, complotti, orari sfalsati, Juve ladrona e chi più ne ha più ne metta. Concentriamoci sul fatto che una squadra che gioca una partita a settimana da febbraio non è riuscita a confermare un ruolino da primatista. Ammettiamo che Sarri, da straordinario maestro, ha cannato qualche lezione: per me Europa League e Coppa Italia non andavano abbandonate così a cuor leggero. La partita con il Verona ha, infatti, dimostrato che la panchina del Napoli era all’altezza di fronteggiare le squadre di “seconda fascia” senza necessariamente far giocare i soliti noti (odio visceralmente il termine “titolarissimi”). Da questo punto di vista il passo indietro è stato enorme, undici inamovibili e pochi altri impiegati: Gabbiadini senza Europei e Mertens relegato in panca quasi sistematicamente.

Mi hanno accusato di fare il gioco del Nord, di guardare altrove mentre ce lo mettevano a quel servizio. Io, invece, vorrei dare una scossa alla mia gente, pregarla di non trovare una scusa per ciascun fallimento, ma una causa per esso, e combatterla fino a vincere questa atavica tendenza alla rassegnazione e alla mollezza mentale, andando a pescare a piene mani dagli esempi umani e calcistici che abbiamo avuto la fortuna di osservare. “Historia magistra vitae”, dicono, e noi il “magister” lo abbiamo avuto, era qui, ci ha dimostrato che si può combattere e vincere.

Era il 3 novembre 1985, il Napoli affronta l’odiata Juve al San Paolo: i rapporti di forza erano quelli di sempre, loro temuti e detestati. Ma noi avevamo Lui, El Diego, l’Arma. A 18 minuti dal termine, calcio di punizione a due in area, sul settore destro dell’attacco del Napoli, alla sinistra di Tacconi. I nostri protestano a lungo perché la barriera non era alla distanza regolamentare, era stata posizionata a non più di 4/5 metri dal pallone. Ricordo il nostro mitico Palo ‘e fierro Bruscolotti che racconta a Sfide il dialogo tra Pecci e Diego sul pallone: “Toccami il pallone”, dice Maradona a Pecci. “Sei pazzo, non c’è spazio, la vedi dov’è la barriera? È impossibile segnare…”, la risposta dell’ex regista di Torino e Bologna. “Toccami il pallone, tanto gli faccio gol lo stesso”. In realtà Peppe dice “Tanto CI faccio gol lo stesso”, ma è uguale. Palla in rete, Tacconi impatta il palo, 1-0 e palla al centro.

Ecco, per me il gol in fuorigioco di Icardi di ieri era la barriera a 5 metri: se credi di avere un sistema da scardinare, prendilo a pallonate.

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