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Juventus-Napoli 1-3: Maradona mette a nudo il re Platini

Juventus-Napoli 1-3: Maradona mette a nudo il re Platini

La letteratura intorno allo storico Juventus-Napoli 1-3 del 9 novembre 1986 è talmente vasta che citare qualcuno o qualche opera significherebbe fare torto a troppi amici o troppi nemici. Si finirebbe per essere banali, triti e ritriti, a riciclare parole e concetti già utilizzati e sviscerati. 

L’unica cosa che si può fare è ricostruire, magari partendo dalle cose che non tutti ricordano. E allora noi partiamo da qui, da Juventus-Real Madrid del 5 novembre 1986. Quattro giorni prima. Sono gli ottavi di finale di Coppa dei Campioni, è la sfida di ritorno. Il Bernabeu, all’andata, ha detto 1-0 per le Merengues. Il ritorno dice sempre 1-0, stavolta per la Juventus. Segna Antonio Cabrini. I rigori dicono male: sbagliano Brio, Manfredonia, Favero. La Juve, campione del Mondo in carica, è fuori. In un giornale dell’epoca, Italo Kuhne scrive così: «Il Napoli che la domenica successiva deve affrontare la formazione bianconera sale al nord convinto di trovare una squadra semidistrutta dai 120 minuti giocati inutilmente, perché dal dischetto aveva fatto meglio il Real. quindi, oltre che stanca, col morale a pezi perché eliminata». 

Dodici punti per entrambe al 2 novembre 1986, dopo due 0-0 che sembrerebbero diversissimi ma in realtà sono uguali: Como-Juventus e Napoli-Inter sono sfide contro due squadre che sono un bunker, perché l’Inter è l’Inter (di Trapattoni) mentre il Como di Mondonico e Notaristefano è squadra da sei pareggi in otto match, da due gol subiti in totale e uno solo in casa. Juventus e Napoli sono imbattute, proprio insieme al Como, e si presentano in condizioni simili allo scontro diretto. Perché anche il Napoli viene da un’eliminazione ai rigori dalla Coppa Uefa, contro il Tolosa. Una cosa più lontana nel tempo, risale ai 32esimi di settembre, ma comunque tanto dolorosa quanto inattesa. Il primo dolore dell’era Maradona. Bianchi, tempo dopo, dirà: «Quella sconfitta è servita a farci vincere in campionato, parlai a muso duro. Feci capire che dalla loro reazione dipendeva tutto. Dovevamo dimenticare l’Uefa e pensare alla Coppa Italia, dove eravamo qualificati e imbattuti, e al campionato, che poteva ancora e sempre regalarci soddisfazione». Dopo Tolosa-Napoli, gli azzurri battono il Torino 3-1: la prima vittoria interna dell’anno con gol in rovesciata di Bagni, con il primo gol di Ciro Ferrara in Serie A e con il primo gol stagionale di Bruno Giordano. Una giornata di prime volte. Nils Liedholm, su un Corsera di allora, raccontò a Giulio Nascimbeni le sconfitte delle squadre italiane ai rigori. Anche lui rimase scottato: nel 1984, la sua Roma perse contro il Liverpool la finale di Coppa campioni. All’Olimpico di Roma. Ecco le sue parole: «Non c’entra il Mediterraneo o il temperamento latino: al Real sono spagnoli, quindi non è questo il problema. La verità è che ci sono tiratori occasionali e tiratori abituali. Su questi ultimi influisce il grande pubblico, l’atmosfera della serata storica. Ho guardato alla televisione i ragazzi della Juventus. Si capiva che avevano un solo modo di calciare, mentre gli spagnoli erano in grado di centrare ogni angolo. Si vedeva dal tipo di rincorsa e dall’impostazione del corpo».

Comunque, è Juventus-Napoli. Dodici punti in otto partite, primo posto e primato solitario in palio. L’allenatore della Juventus è Rino Marchesi, un signore dai modi gentili che ha preso il posto che per un decennio è stato di Trapattoni. Ha guidato il Napoli nella rincorsa scudetto con Krol del 1981, è tornato qualche anno dopo e ha allenato il primo Maradona italiano. Si è ritrovato a Torino dopo un’ottima stagione a Como (ancora il Como!), sta gestendo il poco che rimane di una squadra che ha dominato il mondo. Platini è apparso in disarmo nelle prime settimane di campionato, proprio mentre Maradona sta disegnando i reali contorni della sua forza nel Napoli dopo aver praticamente vinto da solo Mexico 86. Alla Stampa, a due giorni dalla partita, Marchesi si esprime così: «Diego ha dalla sua il vantaggio dell’età, ma Michel sta crescendo. Il mio augurio è che non solo lui, ma tutta la squadra, faccia vedere quello che vale contro i partenopei».

Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini, Brio, Caricola, Mauro, Manfredonia, Serena, Platini, Laudrup. Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Ferrario, Renica, Sola, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano. Bianchi sceglie una formazione di contenimento, con Sola a centrocampo insieme a Bagni, De Napoli e Romano che aveva esordito due settimane prima nella vittoriosa trasferta di Roma. Maradona a supporto di Giordano unica punta. Marchesi è in formazione-tipo. La cronaca del Corsera: «A volte nel calcio il coraggio, anche quando è un coraggio obbligato, paga. È successo ieri. A parole Ottavio Bianchi aveva garantito di voler tentare di vincere la partita: in realtà ha dovuto osare quando lo zero a zero, che avrebbe gradito, era stato vanificato da una delle poche felici intuizioni di tutta la partita di Michelino Laudrup. Cabrini, era il 5′ del secondo tempo, ha tirato da sinistra, quasi dalla stessa posizione dalla quale aveva segnato contro il Real: Garella non è riuscito a trattenere la palla bassa e indisiosa e il danese della Juve, appostato nei paraggi, ha spedito in rete».

Il gol della Juventus cambia la partita: tre minuti dopo la rete di Laudrup, esce Sola ed entra Carnevale. Dopo questo cambio, il racconto assume questo tenore qui: «La Juve era tutta in difesa, assediata, con la lingua fuori. […] Due volte ci ha provato Maradona, su punizione e su azione: al 17′ è stato Giordano a scaraventare un tiro di venti metri verso la porta juventina; persino Bruscolotti, abbandonato un Platini spento e che ormai meritava attenzioni minoti, ci ha provato al 24′. Niente da fare, Tacconi volava dappertutto, Tacconi non si faceva sorprendere. Ma poi è crollata anche l’ultima diga bianconera. Tutto è avvenuto all’improvviso e alla fine dei cento secondi che hanno cambiato la faccia del campionato abbiamo visto gente attonita (tutti i tifosi bianconeri) e gente che piangeva dalla gioia (un napoletano di una certa età piazzato davanti alla tribuna stampa). Al 28′, sul tredicesimo calcio d’angolo battuto dal Napoli, in un’area affollatissima come un tram nell’ora di punta, Ferrario si è fatto largo allungando il piedino. La palla ha picchiato sul palo ed è finita in rete. Al 29 passato da qualche secondo, il Napoli ha usufruito del quattordicesimo corner: l’ha battuto Maradona e Giordano l’ha trasformato nel gol del 2-1 con un tiro di rara potenza e precisione».

Il gol che suggella il risultato finale, 1-3, lo stesso del 1957, è il racconto di un contropiede perfetto. Ognuno lo può immaginare come vuole, noi lo descriviamo così: Carnevale e Volpecina in campo aperto nella difesa vuota della Juventus, soli davanti a Tacconi. Il fatto che segni il terzino fluidificante, onesto ometto casertano con solo quella stagione giocata del Napoli, dice tanto sulla dimensione di rivincita di quella partita. Il Napoli non vinceva a Torino da 29 anni, e lo fa maramaldeggiando in contropiede con uno sconosciuto autoctono dalla carriera poco luminosa, che quel giorno diventerà bellissima e poi tornerà ad essere poco luminosa. Al Comunale di Torino, sul campo aristocratico dei Platini, dei Laudrup, degli Agnelli e del rettangolino bianco sopra lo scudetto tricolore, quello con le due stelle dei venti(due) scudetti incastonate dentro. Silvio Garioni, sul Corsera del 10 novembre, chiude così la sua cronaca: «Al termine della partita, Diego Armando Maradona s’è schierato al centro del campo per ricevere gli ultimi applausi mentre Michel Platini, il “re nudo” di questo momento bianconero, lasciava frettolosamente il terreno per dirigersi verso gli spogliatoi. La Juventus ha perso con il Napoli, Platini è stato sconfitto da Maradona. L’argentino del Napoli non è stato l’uomo determinante della partita: ha giocato meglio nel primo tempo che nel secondo, quando il Napoli ha temuto di perdere e poi ha stravinto. Ma il suo rendimento complessivo è stato largamente superiore a quello del francese della Juve che lentamente si è spento, segueno, o magari anticipanto, la resa bianconera».

Marzio Breda, allora non ancora quirinalista, raccontava così, il giorno dopo, l’appuntamento di Napoli col fischio finale di Agnolin: «Sul prato dello stadio piemontese, le squadre si avviavano agli spogliatoi, tra applausi e fischi: a Fuorigrotta, a Barra a Forcella migliaia di auto e moto escono rombando dai garage, impavesate d’azzurro […] A Posillipo, Mergellina e Chiaia il lungomare è già bloccata da cortei di macchine e gruppi di ragazzi in corsa con le loro bandiere. […] In Piazza Trento e Trieste una comitiva di inglesi guarda con occhi sbarrati un autobus che si arresta improvvisamente, riversando sui marciapiedi decine di tifosi in delirio. […] Da Piazza dei Martiri a Piazza Amedeo è tutto un groviglio di macchine e gruppi di ragazzi. Molti cantano l’inno degli azzurri, tutti invocano Diego, l’eroe, l’idolo, il mito, l’oro e l’ossessione di Napoli».

Giorgio De Rienzo, in un articolo intitolato «Il tifo civile dei “terroni”» racconta di quanto era avvenuto a Torino sugli spalti di un Comunale diviso quasi a metà tra tifosi juventini e partenopei: «Sul ritmo di un’orchestrina, guidata da una tromba, si è alzato un coro, o meglio una canzonetta cantata in perfetta sncronia, che è cresciuta di tono man mano, ma sempre dolcissima, che ha promosso un lunghissimo (ed allegro) sventolare di bandiere tutte azzurre, che ha trasformato, per parecchi minuti, il vecchio ed arcigno Comunale di Torino in uno stadio giovanile e cordiale. La curva juventina ha tentato di zittire quel coro con una bordata di fischi villani: ma invano: hanno prevalso la dolcezza e la gioia, alla grande».

Gianni Brera, su Repubblica, commenta così: «Il Napoli continua a rendere secondo il genio pragmatico di Bianchi, intelligente, serio e conciso come un illuminista del XVIII secolo. Non l’ho mai sentito dire una sciocchezza e francamente ho gran voglia di proclamarmi fiero d’un simile paìs. Naturalmente, va ribadito il dubbio già molte volte espresso, circa la maturità del pubblico napoletano, tuttora più appassionato che competente. Se fischia al minimo indugio, necessario, per la ricerca di spazi più idonei all’impostazione, addio scudetto! Eupalla ha il dovere, non solo il diritto, di punire così infantile atteggiamento di parte. Per quanto riguarda la squadra, sembra impostata al meglio. Lo stesso Maradona ha smesso di proporsi come Primadona: nel secondo tempo di Torino ha dato lezione di vero calcio a tutti quanti. Penso si sia meravigliato anche Marchesi di avere escluso a suo tempo che fosse uomo-squadra. Quel divino scorfano matura anche nel cerebro: e questo sicuramente fa aggio su tutti i pedatori della terra. Circa l’andare così presto nel vento – per usare il gergo ciclistico – sono convinto che Bianchi se ne dolga un tantino: essere primi significa dover tirare per tutti ed essere da tutti aggrediti ad maiorem gloriam suam. Si consoli comunque Bianchi: la classifica migliore è sua, non più della Juventus e non ancora dell’ Inter e della Roma».

L’ultima testimonianza è quella di Luigi Compagnone, scrittore napoletano e vittima di un refuso nel suo pezzo di commento, sempre sul Corsera: «Oggi questo popol nostro batte le sfaticate mani al nino de oro y pde plata, e le batte alla speme, o speranza, dello scudetto. Ma, ripeto, che cosa è lo scudetto per lui? Io dico che, in sé stesso, lo scudetto è sempre qualcosa di equivoco. Perciò vivo da tifoso di ventura, cioè da tifoso cosmopolita. Vivere da tifoso cosmopolita è una benedizione, e motivo di orgoglio. Ma sento pure, con tenerezza e sollievo, che immedesimandomi oggi nella sperazella dei tifosi di Napoli e dintorni, mi ritrovo in piena contraddizione col me stesso tifoso di ventura e, quindi, eccomi tutto allegro nel mio intimo: vale a dire nell’interno del mio sconnesso disastrato campanile. 

Qualcuno avrà notato l’errore. Il giorno dopo, Compagnone lo giustificò con una dotta precisazione pubblicata accanto al pezzo di De Rienzo sul tifo dei napoletani a Torino. Il titolo fu «Da quel maligno refuso all’inconscio collettivo». Lo vedete qui sotto, e finì di dire ciò che c’era da dire su Juve-Napoli 1-3. Torino fu conquistata, fu lo scatto dalla pole verso lo scudetto. Per qualche bellissimo anno, i rapporti di forza cambiarono.

Qui la prima puntata, pubblicata il giorno 8/2/2016.

Qui la seconda puntata, pubblicata ieri.

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