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Gabbiadini, alla classe innata del puntero manca (per ora) il furore dei Manolo

Gabbiadini, alla classe innata del puntero manca (per ora) il furore dei Manolo

Manolo. Un bel nome. Se hai qualche anno in più degli anta ti rimanda immediatamente alle corride e alla Plaza de Toros di Siviglia nella quale il grande Manolete danzava con il toro prima di ucciderlo per l’insana gioia dei suoi fedelissimi. Se, invece, lo sport preferito è il tennis il primo nome che ti viene in mente è Manolo Santana che cinquantatré anni fa venne battuto da Nicola Pietrangeli nella finale del singolare ai Giochi del Mediterraneo organizzati a Napoli. Si giocava in Villa, sui campi del Tennis Club Napoli, e lo scenario è lo stesso che ha fatto gridare al miracolo organizzativo in occasione del match di Davis di qualche mese fa. A conferma del fatto che a Napoli non si scopre nulla di nuovo e tutto quello che si fa è stato già fatto. Fu uno scontro epico: nessuno dei due campioni aveva voglia di perdere e Manolo si arrese al magico Nick solo al quinto set, dopo cinque ore di battaglia combattuta, come se non bastasse, sotto il sole di un caldissimo settembre. «Finimmo di giocare che era quasi buio – racconta Pietrangeli – e il mio avversario era degno anche lui della vittoria». Altri tempi, altri valori in campo, e niente soldi: una maglia azzurra valeva un bonus di settemila lire, ma i panni sudati dovevi lavarli a tue spese.

Un lungo preambolo per affermare che nello spettacolo e nello sport, insomma, il nome Manolo evoca l’immagine di un campione che alle doti innate aggiunge una bella dose di furore agonistico al servizio di una volontà tanto tenace da sconfinare nell’ardore. Insieme al coraggio e alla capacità di affrontare qualsiasi ostacolo senza indietreggiare. Butto giù questo profilo e l’immagine di Manolo Gabbiadini, puntero malinconico di grandissime qualità, esce dal campo e lascia il posto al profilo slanciato e al ricciolo ribelle dell’attaccante che stenta ad entrare nelle grazie di mister Sarri che lo vede più sostituto di Higuain che attaccante multiuso: il bergamasco di Calcinate, infatti, più che a un guerriero sempre pronto a mordere l’avversario per andare in gol ma anche per partecipare al gioco, somiglia alla controfigura di un uomo tranquillo che anche quando mette a segno un gol spettacolare, di quelli che solo lui sa fare, si limita ad esultare giusto quel tanto che manco te ne accorgi mentre i compagni in campo e il pubblico sugli spalti fanno salti di gioia e lo applaudono. Questione di carattere, lo abbiamo detto, perché il giocatore c’è tutto, ha classe e potenza per l’ultimo assalto alla gloria. Ma deve fare presto per esorcizzare il rischio di trasformare in un “caso” una storia di ordinario ambientamento. Che, tra l’altro, Gabbiadini vive in un momento particolarmente delicato della sua carriera: Manolo ha accettato con gioia il trasferimento in un grande club, ma ora, giocando solo spezzoni di partite, “sente” che la maglia azzurra sta sfumando e ha una tremenda paura di non salire più su quell’autobus. Anche se Sarri lo difende, ha posto un divieto assoluto ad un suo trasferimento in prestito, e continua a dirsi convinto che «per il ragazzo ci saranno moltissime occasioni per ben figurare». Sarà sicuramente vero, ma Manolo non possiede il carattere estremamente volitivo di sua sorella Melania che è attaccante come lui, gioca nel Verona ed è una colonna della Nazionale femminile. Tutta grinta e una adattabilità a più ruoli tecnica raffinata – il suo modello è Kakà – al servizio di una tecnica sopraffina che, evidentemente, è presente nel dna familiare.

Cosa dire a Manolo che Melania già non gli ha detto? Niente, solo l’appello a seguire Sarri e ad aver fiducia in lui allenandosi con la stessa intensità, se possibile con più determinazione. Come se volesse spaccare il mondo. Lo avesse fatto al Madrigal, quel tiro – seppure di destro – sarebbe stato più potente e preciso e, più ancora, Manolo sarebbe arrivato in tempo, con le sue leve da fenicottero d’area di rigore, a correggere in rete il cross dalla sinistra. Può farcela, anzi deve farcela, perché è sorretto da un talento indiscutibile e da una platea di tifosi che ha creduto in lui fin dall’inizio. E i loggionisti del San Paolo, come quelli del San Carlo, difficilmente sbagliano.

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