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Quando il Napoli al mercato di riparazione comprò Vagheggi e Scarnecchia

Per una questione anagrafica ho vissuto il calcio mercato anche quando il termine ultimo delle trattative era il 31 ottobre e il campionato iniziava a settembre inoltrato. Stranamente, però, si parlava di “mercato di riparazione di novembre” o “mercato autunnale” anche se le squadre erano ormai fatte alla chiusura di ottobre. Non si poteva più tornare indietro e il rischio di avere preso qualche bidone, cui non si poteva più rimediare, era grosso e reale. Insomma a gennaio non stavamo con questi patemi d’animo o a sfogliare la margherita del “lo prende o non lo prende”, a chiederci se arriva il top player e spacca lo spogliatoio o se prendiamo il giovane di prospettiva che cresce ed assimila col tempo gli schemi di Sarri. Era tutto più tranquillo e rilassato e il tam tam mediatico era qualche trafiletto di fianco agli articoli di attualità. Sapevamo che la squadra che scendeva in campo da novembre in poi era intoccabile e che per i nuovi rinforzi bisognava attendere pazientemente solo il successivo mese di luglio. Ovviamente mercato di riparazione era quello e anche quello attuale lo è, anche se è scomparsa la riparazione ed è apparso, come per incanto, il nome di un mese, gennaio. Ed allora storie, poche, di innesti giusti (uno su tutti, quello di Francesco “Ciccio” Romano nel Napoli di Maradona) e futuri campioni così come di meteore e bidoni si possono raccontare all’infinito, da quando appunto si iniziò a parlare di mercato a campionato già iniziato.

Lo specchio di chi era arrivato a rinforzare la propria squadra del cuore lo notavamo subito dalle figurine Panini che, dopo Natale, comparivano fatidicamente in edicola. I nuovi acquisti non avevano la foto come il resto della squadra, quasi sempre scatti fatti durante il periodo del ritiro estivo. I nuovi volti li vedevi con gli spalti ed i tifosi alle spalle perché, in extremis, la Panini mandava i suoi fotografi sui campi di tutta Italia proprio a novembre. E così capitò in quell’infausto 1982 che andiamo a raccontarvi. Se, quindi, consultate l’album delle figurine di quell’anno capirete subito che gli unici due arrivi in casa Napoli furono Scarnecchia e Vagheggi, il primo col Comunale di Torino alle spalle ed il secondo in un San Paolo pieno come un uovo. Ripeto “pieno” nonostante il Napoli stesse con l’acqua alla gola e a poche giornate dall’esonero di Giacomini. E meno male che in panchina Pesaola cominciò a baciare il crocifisso e Ferrario a segnare i rigori altrimenti quell’anno diventava infausto sul serio. Ve la immaginate una squadra con Castellini, Bruscolotti, Krol, Ferrario, Vinazzani, Criscimanni e Diaz retrocedere in B? Comunque, vuoi che la squadra non andava, vuoi che gli episodi nemmeno ci giravano a favore e vuoi che quando hai pochi punti in classifica ti viene naturalmente l’affanno e l’ansia da prestazione, in quel mercato ottobrino il Napoli prese in un solo colpo due doppioni. Due ali, caratteristiche simili, un pedigree fatto di mediocrità alle spalle quando i rinforzi dovevano essere presi sopratutto in altre zone del campo visto che l’attacco era anemico e la difesa facilmente perforabile.

Quindi una delle operazioni più scellerate che il Napoli abbia mai fatto nel mercato di ottobre fu quella di acquistare, nel 1982, i signori Claudio Vagheggi e Roberto Scarnecchia, rispettivamente dalla Lazio e dalla Roma. Il primo aveva già fatto 4 partite in B coi capitolini mentre il secondo non era mai stato impiegato nel campionato in corso. Tra l’altro entrambi ad una età molto promettente, l’aretino Vagheggi aveva 26 anni mentre il romanaccio Scarnecchia ne aveva 24, giocatori nel pieno della carriera, già fatti, oseremmo dire. Ebbene l’apporto dei due, che arrivarono a Napoli quando il campionato era iniziato già col piede sbagliato (una sola vittoria interna col Catanzaro, tre pareggi e tre sconfitte ), fu davvero misero e furono tutti e due “sbolognati” a retrocessione evitata, uno alla Cavese e l’altro al Pisa. Avevano rispettivamente collezionato 14 e 15 presenze restando malinconicamente a digiuno di gol. Arrivarono ed esordirono a fine ottobre. Scarnecchia in un triste pareggio esterno a Torino coi granata e Vagheggi in una sconfitta interna ad opera della Sampdoria che il 7 novembre si impose al San Paolo per 1 a 0. La settimana dopo il Napoli era ultimo in classifica, altro che rinforzi.

La caratteristica che accomunò i due fu la girandola di sostituzioni che l’uno e l’altro si facevano a vicenda e la regolarità della maglia in comune, quella 7 dell’ala destra, che si scambiavano come due spogliarellisti. E, a fine torneo, furono più le sostituzioni che i minuti in cui giocarono effettivamente. Da allora un continuo girovagare di squadre per entrambi, per Scarneccha anche un matrimonio fallito con Parvin Tadjk (poi moglie di Beppe Grillo) e la carriera da allenatore di diverse squadre semi professionistiche del Nord Italia. La vicenda di Vagheggi, oggi procuratore sportivo di quotata fama (tra i suoi assistiti anche il nostro Allan), è invece abbastanza singolare per spiegare il suo rendimento in maglia azzurra e fa capire quanto sia cambiato il calcio in questi anni. Il giocatore arriva a Napoli, sponsorizzato da Giacomini che lo aveva allenato con le zebrette friulane, è un’ala tecnicamente dotata, forse non un fulmine di guerra ma coi piedi buoni. L’incognita è che viene preso anche se si sa che all’Udinese ha avuto una serie di problemi fisici con strappi muscolari mal curati o meglio sanati con infiltrazioni di cortisone. Ma le sorprese sono dietro l’angolo. Anche a Napoli il giocatore continua ad avere ed accusare malanni, deve fare i conti con stiramenti e contratture, l’odissea sembra non finire mai, come quella della squadra che naviga in brutte acque. Alla fine il giocatore, con l’aiuto di Piero Aggradi, il direttore sportivo del Campobasso suo amico, capisce che tutti i problemi fisici che ha sono dovuti ad un fattore “denti”. Le infezioni che aveva, passavano dai denti ai muscoli e finché non mise a posto i denti continuò ad avere problemi fisici. Quando a 30 anni si curò i denti, passò alla Cavese e le cose decisamente migliorarono. Ma era troppo tardi, bastava trovare un buon dentista a Napoli.

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