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Le ragioni e i torti di Antonio Conte che oggi scopre la differenza tra un ct della Nazionale e un allenatore

Le ragioni e i torti di Antonio Conte che oggi scopre la differenza tra un ct della Nazionale e un allenatore

Ci sono un nome e un cognome, quindi una persona, che aleggiano su tutto quello che succede nel calcio italiano. Scelte strategiche, decisioni, le notizie veicolate dai media: tutto è messo in correlazione a lui, Antonio Conte. Mai prima d’ora, prima di così, un Commissario Tecnico era riuscito a insinuarsi all’interno dei tavoli federali o della Lega, nella vita politica e nei mezzi di informazione del pallone nostrano. Probabilmente, mai nessuno ci aveva neppure provato.

Antonio Conte ha fatto e sta facendo il passo più lungo della gamba di un selezionatore. Ha provato, sta provando, a rivoluzionare il ruolo di allenatore della nazionale, che con lui diventa allenatore vero e proprio anche in un contesto che probabilmente non contempla questa figura. Come allenatore puro, il salentino sta perseguendo due strade precise: ricerca di consenso, attenzione e protezione da parte della società, in questo caso la Federazione, che gli ha offerto questo lavoro, in modo da poterlo fare al meglio; e poi la creazione di un gruppo di calciatori in grado di soddisfare le sue esigenze, tecniche e umane. 

Per quanto riguarda il primo punto, è bene sottolineare una nostra scelta stilistica di scrittura. La chiosa “in questo caso la Federazione” messa tra due virgole fa tutta la differenza del mondo. Nel senso che la Figc non è un organo autoreferenziale che basterebbe a sé stesso, economicamente ma non solo. Pensiamo alle polemiche per l’ingaggio offerto all’ex tecnico della Juventus ma anche alla necessità di convivere con delle società private, i club, che saranno pure espressione di appartenenza popolare e altre robe romantiche così, ma sono innanzitutto delle imprese. Sportive, ma pur sempre imprese. Sono loro ad avere il coltello dalla parte del manico, esattamente come faceva capire lo stesso Conte quando litigava a distanza con Prandelli per delle convocazioni ritenute inopportune, addirittura “ineducate”. Poi l’allenatore della Juventus salta lo steccato, diventa Ct e in qualche modo pretende più “attenzioni” per la sua Nazionale. Un po’ incoerente, se vi pare, ma giusto. Sì, giusto. E non per questioni di nostalgia canaglia, “la Nazionale prima di tutto” o cose così. Ma proprio perché sennò, la tua scelta è senza senso. Perché se hai voluto Conte, vuol dire che eri in emergenza e hai dovuto ravvivare l’interesse attorno alla Nazionale con un nome grande, importante e soprattutto di personalità. A cosa serve prendere Conte e non “proteggerlo”, non dargli modo di fare il suo lavoro come crede? Un po’ come comprare un soprammobile costosissimo e pesantissimo e poggiarlo su una mensola nera porosa dell’Ikea, magari pure montata alla meglio. Inutile, fuori luogo.

Quanto “concesso” al Ct è un puro palliativo: il campionato iniziato una settimana prima, in pieno agosto, alla fine non accorcerà una stagione che, con l’ultima notizia della finale di Coppa Italia spostata al 21 se non al 22 maggio, finirà esattamente come quelle precedenti. Poi la storia degli stage, promessi da quella Lega che dopo ha deciso di rimangiarsi qualcosina, anzi quasi tutto, chiedendo l’esenzione per i calciatori dei club impegnati in Europa. Alias, l’intera (o giù di lì) rosa a disposizione di Conte che a queste condizioni ha risposto «no, grazie» e ha preferito soprassedere. Forse, chiedendosi per l’ennesima volta chi gliel’ha fatto fare.

Il rovescio della medaglia è la storia del gruppo, del caso-Insigne o Berardi, metteteci il nome che volete. Il ct, come detto, fa il gioco dell’allenatore di club, poggiando il suo lavoro sull’unione, sul rispetto delle regole, sull’attaccamento alla nazionale e cose così. Tutto bello, tutto giusto. Però, c’è qualcosa che non va, e non solo perché – lo ripetiamo – è un discorso che con Insigne ci tocca e ci riguarda da vicino. Nella gestione di una Nazionale, al di là del caso specifico (l’infortunio di Insigne era probabilmente reale, ma non è fondamentale), le situazioni “disciplinari” non possono inficiare la qualità della tua rosa. Oppure, non così. Per carità, cioè: nessuna anarchia totale o l’aut-aut dell’Insigne o del Berardi titolare a tutti i costi. Ci mancherebbe. Però, rinunciare così a due tra i più talentuosi e virtuosi calciatori dell’intera Serie A, tra l’altro (soprattutto Insigne) mai così splendenti in carriera, è un delitto bello e buono. Anche perché questa scelta nasce più che altro dalle sensazioni del Ct sul famoso “attaccamento” dei fantasisti di Napoli e Sassuolo, rei di aver anteposto la loro salute in funzione del club più che della Nazionale e di «non aver capito la maglia che gli è stato chiesto di indossare». Un approccio così, per un allenatore, è giusto, condivisibile, addirittura sacrosanto. E invece, per un Ct?

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