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“Un giorno all’improvviso” è un coro. Napoli non si è mai affezionata a un inno (il nostro resta ’O surdato ’nnammurato”)

“Un giorno all’improvviso” è un coro. Napoli non si è mai affezionata a un inno (il nostro resta ’O surdato ’nnammurato”)

CORO – “Gruppo di persone che cantano insieme” (1306), “Canto eseguito da più persone a diverse voci e all’unisono, con o senza accompagnamento musicale” (1338), “Insieme di parole, grida, lamenti e simili, emessi da più persone contemporaneamente” (1535)

INNO – “Composizione metrica in onore di dei o di eroi, usata in cerimonie” (1481),“Composizione strofica in vario metro di argomento patriottico, mitologico, religioso e simili” (1595) “Composizione patriottica per canto e strumenti” (1862)

(dal Dizionario Etimologico Zanichelli)

Partiamo da due assiomi fondamentali. Un inno ufficiale del Napoli non esiste, non è mai stato commissionato a nessun musicista. Non bisogna fare confusione tra “inno” e “coro”. Siamo andati a spulciare e rileggere vari dizionari di lingua italiana per cercare di rispondere prima alla seconda domanda e non cadere nella tentazione di confondere le due cose. È una chiarificazione per nulla polemica ma va fatta onde evitare di far passare “Un giorno all’improvviso” come il nuovo “inno” del Napoli. Qui non si discute la bellezza, l’orecchiabilità del ritornello, il coinvolgimento stesso dei calciatori sotto la curva, il popolo azzurro che gode a fine partita ma se questo è l’inno del Napoli. A parte il fatto che è un coro mutuato da altre tifoserie e da una canzone dei Righeira del 1985, “L’estate sta finendo”, resta da chiarire l’etimologia delle due parole. Nello Zanichelli che abbiamo consultato, tutte e tre le definizioni di “coro” vanno un po’ nella stessa direzione, vale a dire che questi è fatto da un insieme di persone che cantano insieme contemporaneamente, anche senza musica. Ed allora, a ragione, quello che va di moda adesso è essenzialmente un coro. Lapalissiano.

Se leggiamo con attenzione le definizioni di “inno”, invece, saltano fuori almeno due caratteristiche, ovvero che questi è una composizione nata apposta per celebrare qualche cosa o persona con l’accompagnamento della musica. Gli altri elementi che emergono sono, tra l’altro, l’onore e la lealtà da tributare agli eroi (in questo caso i giocatori in maglia azzurra), la cerimonia (la partita allo stadio), la patria (il tifo per la squadra della propria città). Resto sinceramente più convinto dell’inno, credo sia maggiormente “identificativo”, c’è una maggiore simbiosi tra chi lo canta e gli eroi che va a celebrare. È più personale, riconoscibile, identificabile con quella squadra e quei colori. Cosa che non succede con “Un giorno all’improvviso” che magari ascoltiamo anche in altri stadi d’Italia, anche nelle categorie inferiori.

Come dicevamo sopra, però, il Napoli non ha mai avuto un inno ufficiale o almeno duraturo nel tempo. Certo non pretendiamo che le squadre di club facciano come la Nazionale che canta sempre “Fratelli d’Italia” ma servirebbe qualcosa di più personale per ogni squadra. Il Napoli ci ha provato a più riprese, dagli anni ’60 fino agli ’80 (Ferlaino pensò che “Nà Nà Napoli/Gennarì” di Peppino Di Capri potesse essere il nuovo inno degli azzurri!) ma ancora oggi se ci vogliamo emozionare andiamo a rispolverare “O surdato ‘nnamurato” poiché è inno (è nato già con parole e musica), è autoctono e patriottico (è cantato in napoletano) e dura da 40 anni. Non è facile creare l’inno, magari ci hanno provato le società stesse in passato, come il Napoli di Fiore e Pesaola, i cantanti partenopei con episodi isolati e individuali, come Nunzio Gallo nel 1972, ma nessuno come quel boato nato spontaneamente all’Olimpico dopo una punizione di Boccolini è durato tanto nel tempo. Non sono mai mancati, in ogni caso, gli inni nati per opera di tifosi e artisti che hanno amato la squadra del cuore. Ai tempi di Sivori e Altafini, Canè e Juliano, tantissime canzonette-inno, spesso scenette comiche recitate da Pietro De Vico e Nino Taranto, fecero presa sui tifosi. Erano simpatiche, mettevano allegria, usavano il dialetto per suscitare il riso dell’ascoltatore ed ancora oggi è difficilissimo catalogare quanti 45 giri uscirono all’epoca. Pare che la cifra superasse il centinaio, tutti avevano una strofa, una rima e un canto per gli azzurri, nati dalla fantasia popolare ma ovviamente molti di qualità medio-bassa. L’unico in quell’epoca che ha in copertina la parola inno è “Il grande Napoli”, scritta da Renato Fiore e da un anonimo Pluri. La curiosità è che il lato B del disco riporta le interviste che il mitico giornalista Gino Palumbo fece a Pesaola, Fiore, Juliano, Sivori, Ronzon, Canè e Altafini.

Ma anche gli anni ’70 non furono da meno con un altro centinaio di produzioni sulle quali spicca l’inno cantato da Nunzio Gallo, in quel periodo uno dei cantanti sulla cresta dell’onda. Ed allora nei negozi di musica della città si vendette quel disco come il pane, da Forcella a Piazza Dante, dalla Ferrovia al Vomero, da Fuorigrotta a Mergellina risuonarono le note di Gallo. Come nel 45 giri precedente, per attirare il pubblico, sulla copertina del disco campeggia una foto della squadra schierata al San Paolo per il campionato 1972-3. La “chicca” del disco era che all’interno c’era un piccolo poster con il testo della canzone e la foto della squadra, ovviamente per collezionisti. Non era un grande Napoli, è l’anno prima dell’arrivo di Vinicio ma in quella squadra c’erano già giocatori che poi hanno fatto la fortuna del “Lione”. Infatti Esposito, Vavassori, Juliano, Carmignani, Zurlini e Bruscolotti rappresentavano già l’ossatura degli azzurri, mancavano due buone punte e mezzo centrocampo. L’anno dopo, cedendo Improta, Rimbano, Abbondanza, Damiani e Mariani ed inserendo rispettivamente Orlandini, reintegrando l’esperto Pogliana, Massa, Braglia e Clerici nacque il Napoli all’olandese che fece sognare lo scudetto. Forse c’era poco da cantare per la squadra di Chiappella che si classificò nona ma per i napoletani, anche nei momenti bui, fu difficile frenare i propri sentimenti d’amore espressi in musica e versi. Sentimenti che esplosero poi nel pomeriggio dell’Olimpico, Lazio- Napoli, dicembre 1975. Arrivò spontaneamente “’O surdato ‘nnamurato” che da sempre i tifosi, nei momenti di particolare euforia, amano intonare. Un pezzo struggente, legato alla guerra, alla voglia di vivere, al patriottismo, che fa sempre emozionare e commuovere, espressione del carattere partenopeo (“Oj vita oj vita mia…”), con una vena malinconica ma sempre cantata con sentimento e trasporto allo stadio proprio per dimostrare la passione e l’amore viscerale che ci lega alla maglia azzurra.


(foto Archivio Morgera)

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