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L’hashtag #IostoconSarri è il modo peggiore per continuare una brutta serata

L’hashtag #IostoconSarri è il modo peggiore per continuare una brutta serata

A scanso di equivoci chiariamo un concetto: io non sto con Sarri né con chiunque altro commette o ha commesso lo stesso errore. E sono profondamene amareggiato per il fatto in sé e per le conseguenze che ne potrebbero derivare. Partendo da queste doverose premesse, quell’hashtag io sto con Sarri che naviga, e pare spopoli, in tutti i mari dell’etere è una idea insana o, meglio, è il naturale suggello ad una serataccia che ancora non ha sputato tutto il veleno che si porta dietro.

Cancelliamolo, quindi, e se proprio vogliamo sostenere le ragioni purtroppo difficilmente sostenibili, anche se comprensibili per le motivazioni che da qui ad un attimo diremo, del tecnico aggrappiamoci all’unica difesa accettabile che è la micidiale tensione agonistica da cui era posseduto: Sarri, insomma, non aveva mandato giù l’espulsione di Mertens per doppia ammonizione e ha scelto il bersaglio più vicino e caratterialmente più lontano da sé – cioè l’allenatore rivale che in campo non vedrete mai in abbigliamento da lavoro perché non è stata ancora prodotta una tuta in cashmere – per scaricare almeno parte della rabbia che ormai era esplosa e non poteva più essere contenuta. Non è una difesa che convince fino in fondo, ne siamo consapevoli, ma la tesi della carica provocatoria della decisione presa dall’arbitro almeno sta in piedi. A mio modesto avviso, infatti, il rigore poteva essere concesso perché il contatto c’è stato anche se il nostro attaccante ha esagerato nella caduta ma in ogni caso quello non era un fallo da ammonizione e, di conseguenza, da espulsione. Il cronista si è molto arrabbiato guardando la partita comodamente da casa e, quindi, è portato a credere che Sarri sia esploso perché ha visto, in un attimo, materializzarsi il dramma della sconfitta e della eliminazione. Un principe del foro può lavorare su questa tesi, anche se l’attenuante invocata dal tecnico operaio – sono cose che accadono in campo e in campo devono esaurirsi – non sta in piedi perché l’accusa di omofobia è infamante. E non solo per Mancini che, tra l’altro, è stato implacabile. Come se covasse una antipatia repressa nei confronti del collega. E, peggio ancora, non ha sciacquato, come lui, i panni nel Tamigi della Premier. Il mortificante siparietto, tra l’altro, ha fatto il giro del mondo e in questi casi il sentimento popolare è giudice implacabile soprattutto quando il colpevole si è “offerto” e, peggio ancora, è stato sbranato in diretta. La lodevole dignità e il pentimento sincero di un onest’uomo travolto suo malgrado dagli eventi che non è riuscito a gestire contano come il quattro a briscola, cioè niente: il Colosseo era gremito in ogni ordine di posti e il pubblico inferocito ha calato all’unanimità il pollice verso. Altri consigli non ne diamo anche perché sappiamo bene che il presidente De Laurentiis sta decidendo, con i suoi collaboratori, una linea difensiva capace di porre un argine alla deriva colpevolista. Che non arretrerà di un passo, c’è da giurarlo: la saldezza morale del Belpaese è molto elastica, ma quando hai tra le mani un colpevole indifeso per nessuna ragione al mondo si rinuncia al piacere di farlo a pezzi.

Una conferma l’abbiamo già avuta leggendo che Sarri non sarebbe nuovo a questo tipo di reazione che, quindi, sarebbe propria della sua cultura intollerante. Due anni fa, durante una partita persa dall’Empoli, la sua squadra, a Varese avrebbe detto: «Il calcio sta diventando uno sport per froci». E anche quella volta non si tenne conto delle sue scuse: «Non sono omofobo, è un’accusa che respingo». L’ha respinta anche ieri notte e questo vuol dire che l’ha pronunciata. C’è, però, un jolly che mi spendo e può influire sulla valutazione complessiva dei fatti i incresciosi del San Paolo: come si comporterà in questo caso il giudice sportivo che si limita a multare con poche migliaia di euro i cori quelli sì premeditati e razzisti dei tifosi che inneggiano al Vesuvio purificatore? Come la mettiamo e, soprattutto, qual è il metro morale con il quale si misura l’offesa?

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