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Napoli è una città capro espiatorio, serve al resto del mondo a vivere la propria infanzia

Napoli è una città capro espiatorio, serve al resto del mondo a vivere la propria infanzia

Ogni volta che Napoli vince, primeggia, davanti al racconto di queste vittorie, rinascite, ritorni (con giri molto larghi), penso a quanto Napoli sia necessaria ai non napoletani, volendosi allargare, a quanto sia necessaria al mondo. E non solo perché si può tornare ad offenderla, deriderla, per dire, in tv ma anche sui giornali, vedo solo tifosi e mai persone capaci di restituire la complessità della città che poi è Nazione; ma ci penso soprattutto perché ricompare il catalogo napoletano, è come se con le vittorie si azzerassero i passaggi di Massimo Troisi e si tornasse al pre-Ferdinando Russo. E questo avviene per una carenza di folklore, il mondo è stretto da un conflitto religioso che unifica le identità in una contrapposizione da campo di battaglia, annullando le stratificazioni. A furia di contrapporsi e bombardare, rimane poco, tutto si bonifica in funzione Occidentale e Orientale, in un arroccamento semplificativo, e si perde quel sincretismo che così bene faceva agli antropologi e ai giornali.

Per fortuna, però, Napoli ha mancato molte industrializzazioni, non è riuscita a serializzare le sue scuole migliori, ma ha lavorato moltissimo sul folklore, e oggi è il primo produttore al mondo, tanto che lo esporta, basta aspettare l’occasione e giù: San Gennarelli che hanno più combinazioni e posizioni dei Pokemon, difesi a uomo (rigorosamente) dai pastori: proiezioni verticali dell’orizzontalità eterna di personaggi famosi o ombre di quelli famosi al momento in attesa della dipartita, pizze con disegni che riproducono, semplificando, il momento cruciale: che sia possibile scudetto o riunione dei grandi della Terra, g7-8-20 e conseguenti combinazioni del Lotto (avesseme perde ‘o terno) con o in assenza di sogni, aggiungere: sfogliatelle, pizze, pastiere, babà, ragù, animali vari: vivi morti o X, plastificati e con jingle, perché la colonna sonora non manca mai, tra un caffè e l’altro. Tanto che elezioni o partite, presidenze o coppe, film o no, sembra che si vinca per queste cose qua, oltre che con queste cose.

Un rumoroso e copioso numero di elementi folkloristici, di cui le altre città sono orfane, e di cui il paese sembra avere bisogno, più dei giornali e dei loro scarsi assemblatori di storie e parole. Napoli è difficilissima da prendere – a parte che bisogna fare in fretta perché di solito è la città a prendere chi la attraversa – è cannibale, mastica tutto: popoli e lingue, usanze e distanze, con una voracità ancestrale e allora può succedere che mentre l’Italia ancora si domandi come dove e perché, la città abbia da tempo – molto tempo – assimilato scelte sessuali che ancora scandalizzano, convivenze che ancora generano conflitti, con una tale maturità da far sembrare tutto normale. Mostrando nel caos supremo – che pure le appartiene – un modello che invece viene ignorato. È colpa dei napoletani che si sono concentrati e generosamente prodigati nella costruzione del folklore e che lo esportano, permettendo al mondo di vivere di nuovo la propria infanzia. Napoli lo fa anche per gli altri: divenendo capro espiatorio e pure pazziella.
Marco Ciriello

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