È di Milano e ha scritto un libro molto apprezzato su Maradona, un libro a fumetti che è piaciuto molto: ai napoletani e ai non napoletani. Lui è Paolo Castaldi, ha 33 anni, parla con inflessione milanese, tifa Napoli perché i suoi genitori sono napoletani, il suo papà gli ha raccontato tante volte della passione calcistica, del primo scudetto, di Maradona appunto. Sabato è stato alla libreria del Vomero “Io ci sto” che in pochi mesi è diventata un punto di riferimento non solo del quartiere un tempo agricolo oggi considerato borghese ma dell’intera città. Qui un paio di settimane fa, in occasione del libro per Pino Daniele, si sfiorarono Antonio Bassolino – potenziale candidato molto seguito dai giornali napoletani – e il sindaco uscente Luigi de Magistris.
Sabato, in piazza Fuga, Paolo Castaldi ha presentato il libro appena uscito sempre per la casa editrice Becco Giallo: “Pugni, storie di boxe”. Un libro, come ha spiegato Castaldi (scrittore e disegnatore non solo di sport), che in realtà è nato come una mostra. Mostra presentata a Macerata, all’Overtime, festival del racconto e dell’etica sportiva: quest’anno dedicato alle grandi sfide, quelle che hanno fatto la storia dello sport e non solo. In questo contesto, una mostra che fotografasse quindici significativi incontri di pugilato ci stava benissimo, si trovava a casa sua. Quindici – come lo storico numero delle riprese di un combattimento sul ring – incontri descritti con le parole di Boris Battaglia e i disegni di Paolo Castaldi. Due tavole di fumetti per incontro. E l’idea non è rimasta solo una mostra. Ne è nato anche un libro, con prefazione di Tito Faraci.
E il libro merita. Merita perché ti colpisce. Come un jab, come un colpo d’incontro. Ti proietta in quella dimensione che era un tempo il pugilato, la nobile arte che oggi fa fatica a conquistarsi spazi televisivi e favori del pubblico. Ma la boxe è stata la vita, una metafora quasi perfetta delle contraddizioni dell’umana condizione, una cartina di tornasole delle disparità, delle lotte razziali, delle rivincite sociali.
C’è la storia della boxe nei quindici incontri scelti. Non c’è tutto, per carità. Ma, sia anche di striscio, sono citati quasi tutti. Persino Jake La Motta e quel suo attorcigliarsi alle corde del ring pur di non andare a terra contro Sugar Ray Robinson: una scena drammaticamente riproposta nel Toro scatenato di Scorsese con quel De Niro tanto ingrassato quanto irripetibile. Non c’è quel match tra i quindici, ma la scena c’è. Di striscio, come un passaggio fugace di Hitchcock. Come a dire: “ehi, lo sappiamo che lì c’è la storia ma abbiamo scelto altro”. E c’è tanto di altro. L’ultimo Monzon, Mazzinghi contro Benvenuti, il pugilato sfruttato dalle dittature con Bosisio e Leone Jacovacci la macchia umana che il fascismo mai avrebbe voluto campione. O ancora Johann Trollmann che ha incarnato una storia struggente: il pugile ostracizzato dal regime nazista perché di origine sinti. Era uno zingaro. Finirà per morire massacrato di botte e colpito nel campo di concentramento di Neuengamme. Per l’ultima volta si era ribellato alla boria del regime.
C’è la vita in questo libro. I rapporti di potere. La caratteristica principale dell’uomo: legno storto se sei un filosofo che fa la storia, pezzo di merda se la guardi da spettatore. Paolo Castaldi potremmo definirlo la seconda voce. Ma che voce. A volte asseconda i testi di Battaglia, altre volte sceglie una sua strada. Come quando ritrae l’incontro del secolo, Kinshasa ’74. Sì loro due, Foreman e Alì, e Castaldi alterna una striscia dell’incontro a un estratto del discorso di Lumumba ucciso e destituito da Mobutu che proprio su quell’incontro fonderà gran parte del successo e della longevità della propria dittatura. Poetico il tango di Firpo e Dempsey in una sfida raccontata come se fosse una radiocronaca.
Si chiude con Mike Tyson, si apre con Molineaux e Tom Cribb e parliamo di quando la Rivoluzione americana era ancora una ferita aperta. E poi c’è una chicca. Apprezzata ancor di più perché i due autori nel raccontarla ammettono che non ne sapevano nulla. Ignoravano che un pugile italiano, un pugliese trapiantato a Brooklyn, tal Vito Antuofermo, una notte fece pari con Marvin Hagler. Grazie a uno dei verdetti che ancora oggi sono considerati tra i dieci più scandalosi della storia della boxe. Ma è successo. E qualcuno quell’incontro se lo ricorda. Con Antuofermo che the Marvellous se lo abbracciava per non fargli mai partire un colpo. Altri tempi. Ci si alzava la notte per il pugilato.