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Quando Herrera fece comprare Vinicio all’Inter per non farlo mai giocare

Storie di intrecci e “relazioni pericolose”, corsi e ricorsi che si rincorrono sul filo di maglie azzurre e a strisce nerazzurre. Il calcio non è una scienza esatta, lo dicono i fatti e la sorpresa è sempre dietro l’angolo. Furono imprevedibili, infatti, i flop di Vinicio con la maglia dell’Inter dopo una stagione “monstre” al Vicenza ma anche la rigenerazione, dopo aver cambiato pelle, di Burgnich che venne a comandare la difesa di Partenope con il cuore ancora bardato con la bandiera meneghina.

Nella settimana “Viniciana” appena trascorsa, in cui si è giustamente celebrato l’allenatore che cambiò la faccia del pallone a Napoli con la sua favolosa squadra del biennio 1973-5, una serie di considerazioni in ordine sparso vengono alla mente. Porte che si chiusero con le grandi squadre, nel caso di Vinicio in nerazzurro, ma anche porte che si aprirono con chi grande voleva diventare, nel caso di Burgnich quando passò al Napoli. Abbiamo parlato di fallimento per quel che riguarda l’esperienza milanese di Vinicio ma è lo stesso ‘Lione’ a spiegarci cose successe esattamente 50 anni fa.

«All’Inter feci un anno da turista, anzi quello fu l’anno in cui imparai a sciare perchè Helenio Herrera mi confinò a Folgaria con mia moglie Flora e mi dava sempre appuntamento al martedì successivo per gli allenamenti. Compresi presto che quello sarebbe stato un anno difficile per me, io che dovevo fare da spalla a Mazzola mi ritrovai con qualche scampolo di partita e poco più perchè il Mago improvvisamente mutò opinione sul sottoscritto. Quando l’anno dopo l’Inter venne a Vicenza, dove ero ritornato a giocare, la battemmo per due a zero. I due gol li segnai proprio io e quando, dopo la gara, andai a salutare i miei ex compagni, vidi Herrera che scappò nella toilette per non venire a stringermi la mano. Furono due reti importanti anche in chiave salvezza perchè quella vittoria ci aiutò a restare in serie A». Certo, una figura barbina per l’allenatore argentino, anche i grandi a volte sbandano.

Il mago Herrera, che ebbe la sua consacrazione con gli scudetti e le coppe vinte con l’Inter negli anni ’60, fin troppo legato ai suoi uomini fidati, aveva in effetti chiesto l’acquisto di Vinicio dopo la stagione boom al Vicenza in cui fu capocannoniere della serie A con 25 reti ma non si comprese perchè, in fretta e furia, lo accantonò. D’altronde con un attacco formato da Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez e Corso ci chiediamo a cosa poteva servire un attaccante già avanti con l’età se non a fare la panchina. Probabilmente Vinicio fu abbagliato dalle parole del presidente Moratti che lo caricò di responsabilità quando lo presentò alla stampa ma a conti fatti c’era una bolla di sapone ad attendere, dietro l’angolo, De Menezes. L’uomo di Belo Horizonte non se la prese più di tanto e tornò a Vicenza dove concluse un’altra ottima stagione. Un’annata che gli fece comunque maturare l’idea di chiudere col calcio giocato e a rifiutare il prolungamento del contratto. L’anno dopo era già a Coverciano. A studiare tattiche che poi avrebbe modificato fino a farle sue.

Quando poi Vinicio spiega come e quando sono nate le idee per il tipo di calcio che voleva far praticare alle sue squadre viene naturale il collegamento con Burgnich. «Quando a 37 anni decisi di smettere avevo già la testa a Coverciano, al Supercorso, avevo deciso, volevo fare l’allenatore. Le idee che poi ho sviluppato quando mi sono seduto in panchina nascono proprio dalla mia esperienza da calciatore. Infatti, quando giocavo, ero sempre nei pressi del libero e mi bastava poco, una sua distrazione, per metterla dentro. Quindi pensai che, eliminando il libero e tenendo tutti in linea avrei creato più difficoltà agli avversari». Fu questa l’idea che fece nascere il famoso gioco all’olandese, spumeggiante e frizzante, fatto di ritmo indiavolato e dinamismo feroce in tutte le zone del campo dove tutti aiutavano tutti. Il primo anno da allenatore del Napoli Vinicio si ritrovò con Mario Zurlini, un battitore classico, uno spazzatore d’area forte e senza troppi fronzoli.

Nonostante gli ottimi risultati raggiunti, questo non gli bastò e chiese a Ferlaino di comprargli Burgnich. Ma come, avrà pensato Don Corrado, vado a prendere un fedelissimo nerazzurro, uno che ha fatto le fortune della grande Inter, per farlo svernare qua a Napoli? Ed invece Luis ci aveva visto giusto. Burgnich la Roccia ebbe una seconda, seppur breve giovinezza nella nostra città ed ebbe a dichiarare a più riprese di non essersi mai divertito tanto a giocare. In effetti il difensore udinese arrivò tardi a Napoli lasciandosi dietro un passato glorioso. Uomo schivo e di poche parole, come gli altri friulani che hanno frequentato Napoli (vedi Zoff), onesto, professionista serio, ancora oggi gli si illuminano gli occhi quando parla degli azzurri di Vinicio. Certo, è rimasto interista dentro visto che collabora con la società nerazzurra in veste di osservatore ma ricorda ancora quanto si sia divertito a giocare da ‘finto’ libero con gli azzurri. Quella squadra lo rigenerò e il taciturno Tarcisio, nella sua successiva carriera da allenatore, rischiò anche di sedersi sulla panchina del Napoli quando nel 1980 il neo manager napoletano Juliano lo contattò prima di arrivare a Rino Marchesi. Tarcisio, furlan doc e vino rosso, quando segnò nella semifinale con la Germania non gli parve vero. Lui, difensore roccioso, non sapeva nemmeno come si esultava.
Davide Morgera (archivio foto Morgera)

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