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Quel Napoli-Fiorentina in cui il protagonista fu “Totore da Pianura” invasore solitario che voleva picchiare l’arbitro

Quel Napoli-Fiorentina in cui il protagonista fu “Totore da Pianura” invasore solitario che voleva picchiare l’arbitro

Fine maggio del 1977, caldo afoso, al San Paolo i tifosi indossano i famosi cappellini con la visiera bianca che si vendevano nei dintorni dello stadio. Ora più che mai sembra una festa andare a tifare per la propria squadra del cuore anche se questa ha perso quattro delle ultime cinque partite di campionato. Una discesa senza freni negli inferi, il torneo sembra chiudersi mestamente dopo i noti fatti di Bruxelles contro l’Anderlecht di un mese prima. A Napoli arriva la Fiorentina, proiettata al terzo posto dietro le due corazzate torinesi che stanno dominando il campionato. Gara di fine stagione certo ma nessuna delle due vuole perdere per opposti motivi. Agli azzurri non va giù di chiudere in malo modo davanti ai propri tifosi e la Viola mira a superare l’Inter e a conquistare un posto in Coppa Uefa. In un clima un po’ surreale, al 37esimo del primo tempo Catellani devia nella nostra rete un bel tiro di Caso ma gli azzurri riescono a pareggiare al 24esimo del secondo tempo con Savoldi, un gol da posizione impossibile, dopo un insistente forcing. Coronarie in tilt per un pareggio più che meritato ma non basta. Gli azzurri attaccano con le forze allo stremo, a tratti per inerzia, vogliono vincerla questa maledetta ed ultima gara. Il triste epilogo a tre minuti dalla fine. L’arbitro Falasca non concede un rigore al Napoli per un nettissimo atterramento di Massa e sul capovolgimento di fronte, quando tutti sono increduli per quanto accaduto, Caso va via a tutti e segna nella porta di Carmignani. Apriti cielo. Juliano non ci vede più dalla rabbia, prende il pallone e lo getta addosso all’arbitro, espulso. Nel parapiglia, mentre il capitano sta uscendo dal campo, arriva lui, “Totore” da Pianura, dopo aver percorso a perdifiato mezzo stadio. Fortunatamente Massa e Carmando lo fermano e lo consegnano alla polizia, sugli spalti cori e lanci di oggetti accompagnano le gesta di questo novello Don Chisciotte. “Nun cià facimme cchiù!” sembrò il motto di quel caldo pomeriggio.

All’invasore solitario gli offrirono persino una sedia affinché si riposasse. Poi, dopo le formalità di rito per verificarne le generalità, lo lasciarono andare senza prendere alcun provvedimento. Infatti, secondo la legge, l’uomo non aveva commesso infrazioni o reati perseguibili penalmente. Così dichiarò la forza pubblica presente quel giorno al San Paolo dove stava volgendo al termine un Napoli Fiorentina pieno di veleni, rabbia e frustrazione. Il baffuto vendicatore di tutti i torti e i soprusi subiti dagli azzurri in quella stagione si chiamava (e noi, per simpatia e per spirito partenopeo, speriamo che si “chiami” ancora) Salvatore Ricciardi ed abitava al numero 75 di via Napoli a Pianura. Lo allontanarono con la forza dall’arbitro dell’incontro, il signor Falasca di Chieti, ma quando qualche cronista provò ad avvicinarsi era ancora ansante e respirava forte per il lungo tragitto che aveva dovuto compiere per mettere in atto il suo “diabolico” piano, quello di andare a farsi giustizia da solo per la mancata concessione di un rigore al Napoli che avrebbe potuto dare la vittoria agli azzurri. Due punti che non avrebbero cambiato il destino della squadra partenopea di quell’infausto anno poiché era già stato compromesso abbondantemente da una serie di risultati negativi. Sarebbe stata una vittoria di Pirro ma il popolo napoletano era stanco. Le dinamiche del calcio purtroppo sbagliano raramente, si ripetono ciclicamente e dicono che se esci da una competizione europea ingiustamente in primavera, il resto della stagione rischia di diventare un fallimento totale. È successo tante altre volte, non ultimo l’anno scorso quando Higuain gettò alle ortiche la possibilità di entrare in Europa dalla porta principale con un rigore contro la Lazio sul filo di lana dell’ultima giornata.

Il signor Ricciardi, all’epoca 47 anni, nessun precedente penale, dichiarò di essere un autotrasportatore di merci che aveva due camion e quattro figli e che da sempre tifava Napoli. Era ancora scosso “Totore”, chiamiamolo così, quando spiegò nei dettagli come era riuscito ad entrare in campo. Fece un balzo felino dal settore delle tribune laterali dopo aver appoggiato un piede sulla cancellata a protezione del fossato. Non sembrò per nulla pentito, anzi disse che era dispiaciuto perché era riuscito a dare solo un calcio all’arbitro e che lo avrebbe rifatto ancora. In effetti non fu così dato che lo fermarono prima Peppiniello Massa e poi Salvatore Carmando e lo consegnarono ali agenti e a Carlo Duran, l’ex pugile, che era nei pressi del sottopassaggio. Lui voleva a tutti i costi essere il paladino di una stagione finita male e diventò eroe per un giorno. Infatti il lunedì dopo la partita tutti i quotidiani napoletani riportarono in prima pagina la foto “Totore” che cerca di sferrare un pugno all’arbitro.

L’arbitro Falasca dichiarò, poi, al funzionario del Totocalcio che la partita si era conclusa regolarmente, nessuna sospensione anticipata, e che quindi il risultato era valido per la schedina. Il giovane arbitro, dirigente di un’azienda metalmeccanica, sposato ad una ischitana, era alla sua seconda partita in serie A. Lasciò lo stadio con molta tranquillità, addirittura sull’auto di Lucio Amabile, cognato di Ferlaino, senza nessuna scorta poiché i tifosi erano già andati via da un pezzo dopo una prima e blanda carica di carabinieri e poliziotti all’esterno dello stadio. Erano le 19 di una calda giornata di fine primavera, Fuorigrotta insolitamente semideserta, l’ennesimo boccone amaro già alle spalle. Al Napoli sarà dato lo 0-2 a tavolino, tre giornate di squalifica del campo (poi annullate) e un punto di penalizzazione in classifica da scontare in quello stesso campionato. Da lì a poco sarebbe iniziata una nuova era per la squadra partenopea, si svecchiava. Arrivava il guaglione di Mergellina, Gianni Di Marzio e Ferlaino, per ringiovanire la squadra, acquistava Restelli e Mattolini proprio dalla Fiorentina.
Davide Morgera (foto Archivio Morgera)

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