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Le favole del calcio di provincia. L’Empoli di un tempo era il Prato di Boninsegna e Valcareggi, mai battuto in casa dal Napoli

Le favole del calcio di provincia. L’Empoli di un tempo era il Prato di Boninsegna e Valcareggi, mai battuto in casa dal Napoli

“Amministrare la partita” e “falsa vivacità” sono due espressioni che ci fanno capire bene come sta andando o sia andata una partita di calcio. Significa, in pratica, accontentarsi dello zero a zero, del punto che fa bene a tutte e due, del primo non prenderle, del “volemose bene”. È quanto dice a varie riprese il folcloristico ma preparato Marcello Giannini, scomparso proprio l’anno scorso, dalla sede di Firenze quando commenta per la Rai il pareggio tra Empoli e Napoli del 5 aprile 1987. Un mese e cinque giorni prima dell’apertura delle porte del Paradiso calcistico, del primo scudetto napoletano. La settimana precedente gli azzurri avevano battuto per 2 a 1, in uno scontro cruciale e decisivo al San Paolo, la Juventus con reti di Renica e Romano. Col pancino pieno si va, quindi, ad Empoli, con la consapevolezza che quel triangolino tricolore potesse essere appiccicato sulle maglie azzurre davvero presto. Rilassatezza, il punto che muove la classifica, gli inseguitori che non mettono paura più di tanto, si va in Toscana dopo averli bastonati a novembre sotto il cielo scuro e il diluvio di Fuorigrotta per 4 a 0. E la tradizione del “non abbiamo mai vinto ad Empoli” cominciò proprio allora, dai saltelli di Maradona in campo, il bacio a Carmando, un gioco bello ed arioso ma efficace solo a sprazzi. Il Napoli giochicchiò, non affondò i colpi e solo in rare occasioni insediò la porta difesa da Drago. Troppo poco per mettere paura ai toscani che alla fine del campionato si salvarono giusto per un punto. Quindi la divisione della posta andò bene ad entrambe sebbene l’Empoli del nostro Ciccio Baiano (esordiente in azzurro l’anno prima, non ancora maggiorenne) continuò a soffrire fino alla fine ed il Napoli la settimana successiva incappò in una fatal Verona. Tre pappine da Pacione, Elkjaer e un’autorete di Renica in 18 minuti. Azzurri tramortiti e groggy, la vittoria del campionato in dubbio. Fortunatamente, però, la ripresa fu subitanea, non si perse più e fu Gloria Eterna.

Le favole nel calcio esistono. E meno male. Abbiamo bisogno di storie che sembrano uscite da un libro di Andersen, dei Grimm, ci aiutano a respirare un po’ d’aria fresca e incontaminata, ci fanno ancora credere che nello sport vince la meritocrazia. Almeno in quello. Di racconti, fortunatamente, il mondo di Eupalla ne è pieno, spesso si è fatta addirittura letteratura su personaggi e squadre che dal nulla hanno scalato classifiche e campionati. Se la componente “novità” fosse un piccolo pezzo di una grande torta, quello delle piccole squadre sarebbe uno dei bocconi più gustosi, uno di quelli che ti evitano di parlare delle solite grandi, del mercato, dei titoloni sui giornali, delle radio, dei calciatori che fanno le bizze, dei procuratori, dei contratti e degli sponsor. In pratica gli altri pezzi del dolce, di ciò che alla lunga può annoiare. Il calcio, che ci piace pensare bello e immortale, è un Highlander del nostro cuore, è una canzone evergreen delle nostre serate romantiche, è una Never Ending Story del nostro personale cinema, anche se spesso dobbiamo fare i conti con delusione e rabbia sportiva. Ebbene, in quella metà degli anni ’80, l’Empoli di Salvemini era una di queste favole, resa ancora più a lieto fine dalla salvezza finale. Vuoi mettere? Sei una squadra di provincia, sei promossa dalla B, ti salvi in A con un parco giocatori modesto, pochi danari da spendere e solo diecimila persone che vanno allo stadio?

Facendo un salto temporale nel presente il primo esempio di favola che ci viene in mente è quella vissuta dall’Arzignano domenica scorsa contro il Parma. Campionato di Serie D. L’hanno capito i giocatori locali, il pubblico che affollava gli spalti di quel piccolo stadio di provincia che sembrava più uno di quegli impianti dove ci fanno i tornei dei bar. Invece roba da stropicciarsi gli occhi, le telecamere di Sky, il telecronista, l’effetto mediatico boom, tutto in una volta. Troppa grazia San Antonio, “non svegliatemi vi prego” avranno pensato in quel piccolo borgo del vicentino. Sono, se ci facciamo caso, le stesse emozioni che hanno potuto provare dieci anni fa gli ambienti di Manfredonia, Martina Franca, Fermo, Sora, Giulianova, Castellammare di Stabia e Pesaro quando in casa ospitarono una squadra che si chiama Napoli. Anche lì, deroga alle regole, Serie C sì ma telecamere e microfoni ovunque. E fortunati i tifosi di quelle formazioni che, grazie al Napoli, poterono vedere in diretta la partita sul satellitare.

Il nostro viaggio nel tempo ci porta ancora su polverosi campi di provincia e palloni di cuoio duri come l’acciaio. Fantastici racconti del tipo “Io c’ero”, quasi si fosse assistito alla visione di una madonna in lacrime o aver visto un Ufo, furono narrati dai papà e poi dai nonni di alcune squadre che affrontarono gli azzurri anche negli anni ’60. Decaduta sì, ma nobile. Questo era il Napoli di quegli anni. Aristocratica in declino lo è stata negli anni della serie C di De Laurentiis ma lo è stata anche quando tra il 1961 ed il 1964 faceva il sali e scendi tra serie A e B. Proprio nell’anno in cui mancò clamorosamente il ritorno nella massima serie il Napoli fece una serie di trasferte da leggenda e da tregenda calcando i campi di Potenza, Cosenza, Pro Patria dando vita a “favolistiche” partite. C’era la Simmenthal Monza (come se oggi ribattezzassimo gli azzurri Lete Napoli), c’era il Lecco delle future fortune con Clerici e c’era il Prato di un giovanissimo Boninsegna, un’altra toscanaccia, quattro passi da Empoli. Addirittura, dal materiale in archivio, si vede che la squadra della città, oggi invasa dai cinesi, dalla grande muraglia gialla di lavoratori a poco prezzo, aveva sul petto uno scudetto col giglio, come per rivendicare il loro essere ‘satelliti’ della Fiorentina. La B conquistata, persa subito e poi riconquistata fu il risultato del buon lavoro svolto alla fine degli anni ’50 da un giovane Ferruccio Valcareggi che aveva dato una mentalità vincente ad una provinciale che si barcamenava nelle serie minori. Il Napoli, proprio come è successo fino ad oggi con l’Empoli, nelle due occasioni che giocò in Toscana non vinse mai e pareggiò in entrambe le gare, 1 a 1 nel 1961-2 e 0 a 0 nel 1963-4. Fortunatamente in casa la spuntò sempre, la prima volta al San Paolo (Fanello e Ronzon) e la seconda sul campo neutro di Foggia (Canè, Bolzoni e ancora Ronzon).

Noi ovviamente speriamo che domenica una favola ce la regali Valdifiori su punizione o Hysaj con un destro sbilenco al 94′ minuto. Vuoi mettere, sfatare un tabù che dura da quasi 30 anni? Anche questa sarebbe una bella favola da raccontare.
Davide Morgera

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