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L’orgoglio delle calciatrici della Virtus Partenope, da Ponticelli alla Nazionale: «Quanta fatica far capire che ci sentiamo femmine con 12 tacchetti anziché col tacco 12»

L’orgoglio delle calciatrici della Virtus Partenope, da Ponticelli alla Nazionale: «Quanta fatica far capire che ci sentiamo femmine con 12 tacchetti anziché col tacco 12»

«Il calcio italiano sarà salvato dal calcio femminile». Ne è sicuro Salvatore Esposito, allenatore della Virtus Partenope, squadra napoletana di calcio femminile di stanza a Ponticelli, periferia est. E la sua profezia, lanciata venerdì scorso, 18 settembre, durante la presentazione ufficiale della nuova stagione, si fonda su un dato assolutamente empirico. «La nostra scuola calcio – racconta Esposito – nacque, ovviamente come scuola maschile, nel 1986, quando nella periferia orientale di Napoli non c’erano molte realtà di questo tipo e più in generale a Napoli c’erano dieci scuole calcio in tutto. Poi – continua il mister – con il proliferare delle scuole calcio e del mito del calciatore superstar anche noi, come molti, abbiamo vissuto un lungo periodo di declino e di ridimensionamento. Due anni fa, grazie alla voglia di giocare a calcio delle ragazze napoletane, siamo rinati».

Sono state le donne, dunque, a rimettere in piedi in due anni la società e la Virtus, oggi, è una delle realtà più importanti del calcio femminile campano: la prima squadra, allenata da Vittorio Esposito, è in serie C e per indossarne la casacca arrivano a Ponticelli da tutti i quartieri di Napoli (e anche dall’Inghilterra, in verità, visto che quest’anno dal Leeds United, serie B inglese, è arrivata Fatima Luongo). L’under 17, allenata da Pasquale De Cicco, l’anno scorso si è giocata lo scudetto col Bologna piazzandosi seconda. L’under 15, allenata da Salvatore Esposito, ha vinto per il secondo anno consecutivo la coppa Campania e il campionato regionale. «Non sono mai sazie – ammette il mister – la loro voglia e il loro entusiasmo mi ricordano anni che pensavo fossero irrimediabilmente finiti, quelli in cui rincorrevamo il pallone e il divertimento innanzitutto e poi i soldi, gli sponsor, il circo mediatico, lo show».

E effettivamente l’orgoglio con cui queste giovani donne brandiscono i propri trofei, messi in bella mostra alla presentazione ufficiale alla Casa del Popolo di Ponticelli, è cosa rara di questi tempi in cui qualsiasi coppa che non sia la Champions League pare essere, per valore e prestigio, pari più o meno a un portaombrelli. Presentazione della nuova squadra e delle nuove maglie “warrior” dunque davanti alla gente del quartiere, alla Casa del Popolo di Ponticelli. Location scelta non a caso perché, per espresso e tenace volere della società, il “malfamato” quartiere della periferia est di Napoli è e deve rimanere la casa del calcio femminile partenopeo.

«I primi due anni – racconta la presidente Raffaella Esposito – per mancanza di spazi abbiamo dovuto giocare dove capitava, a volte in strutture private nei comuni vicini, a volte addirittura in campetti messi a disposizione dalle parrocchie. Noi però non ci siamo mai arresi, volevamo che la nostra squadra giocasse a casa propria, a Ponticelli, e quest’anno finalmente ci siamo riusciti». La conferma arriva dall’assessore allo sport del Comune di Napoli, Ciro Borriello, che poi scherza (ma mica tanto): «Diciamo che avere a che fare con la Virtus è stato un po’ più facile rispetto alla Ssc Napoli perciò a partire da quest’anno le ragazze giocheranno nel campo comunale di Ponticelli».

E se la partita con la burocrazia è stata vinta, più complicata appare quella con la mentalità, ancora diffusissima nella società, nelle famiglie e nelle scuole, che vuole le donne che giocano a calcio come una specie di errore del sistema. Una stortura da correggere. Subito, prima che sia troppo tardi. «È una questione culturale – spiega il preparatore dei portieri Luigi Scialò che quest’estate ha portato le sue goalkeeper a Coverciano, per uno stage con la nazionale -. Lì ad esempio ci siamo accorti di quanto il Sud sia indietro anche da questo punto di vista. Al Nord le scuole calcio femminili hanno in media 150 iscritte, noi 50. Ma non perché ci sia meno voglia di giocare bensì perché è più difficile vincere la resistenza anche dell’ambiente sociale e delle famiglie. È un gap che dobbiamo combattere con l’aiuto dei media, dell’informazione, della cultura e dell’educazione».

Non tutte le ragazze, infatti, hanno la fortuna capitata a Simona Di Blasio (foto qui sopra). Classe 2000, portiere (e non portierA come tiene fermamente a precisare), a 5 anni Simona ha iniziato a manifestare un’affinità elettiva con il pallone e i genitori, anziché toglierle dalle mani l’oggetto demoniaco del desiderio maschile per convincerla a farsi piacere le più consone bambole, l’hanno presa e l’hanno messa su un campo di calcio. Assieme ai maschi, peraltro, perché dieci anni fa non c’erano ancora scuole di calcio femminile che tesserassero atlete così giovani. «Da lì ho capito che volevo fare il portiere – racconta Simona che adesso ha 15 anni, gioca in serie C, è già stata convocata una volta in Nazionale con l’under 17 e sogna di emulare Julio Cesar -. Da piccola ho giocato otto anni coi maschi, me li ricordo bene i sorrisini quando entravamo in campo. Li sentivo quando dicevano “Vabbè questi tengono il portiere femmina, sai quanti gliene facciamo”. E invece no, non ce li facevano. Ma questo mi ha aiutato a non mollare mai, ad impegnarmi il doppio, il triplo. E ora voglio portare la serie A a Ponticelli. L’anno scorso per poco non abbiamo agguantato i play off per la Serie B, quest’anno ci riproviamo».

Prima della presentazione della squadra, sotto gli occhi amorevoli e mai asciutti di quella piccola grande femmina che è Antonella Leardi, videospot con i loro idoli: Messi, Buffon, Mascherano. E proprio come “el jefecito”, presidiare con tecnica e guapparia gli spazi tra difesa e centrocampo è la missione di Sara Caiazzo (foto sopra) che gioca nell’under 15, fa sessioni di palleggio libero i cui video spopolano sul web (l’inverno scorso ne pubblicò uno pure la Serie A Tim) e così riassume la battaglia, sua e di tante, contro gli insulti e i pregiudizi: «Ci sono donne che si sentono femmine con il tacco 12 e donne che si sentono femmine con 12 tacchetti. Qual è il problema?». Già, qual è? 
Anna Trieste

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