ilNapolista

Boldoni: «Presentare il progetto per il San Paolo non basta. Occorrono partner imprenditoriali per evitare lo stop amministrativo. Io li sto cercando per il nuovo PalArgento»

Boldoni: «Presentare il progetto per il San Paolo non basta. Occorrono partner imprenditoriali per evitare lo stop amministrativo. Io li sto cercando per il nuovo PalArgento»

(Il Napoli ha chiesto una proroga al Comune per la presentazione del piano economico-finanziario relativo alla ristrutturazione del San Paolo. Documento fondamentale per considerare in movimento il processo. Riproponiamo l’intervista a Dario Boldoni che proprio di questo aveva parlato qualche giorno fa al Napolista) 

Finalmente ci siamo. O almeno ci saremmo. La questione stadio San Paolo sembra essersi incamminata sulla strada giusta. Il Napoli ha presentato al Comune il progetto di ristrutturazione e riammodernamento dello stadio San Paolo. Un progetto, come sappiamo, affidato all’architetto Gino Zavanella. Dovrebbe essere una struttura da 45mila posti, senza più la pista di atletica leggera con le tribune molto vicine al campo.

Un primo passo è quindi stato compiuto: il progetto è stato presentato. Adesso che cosa succede? I lavori saranno realizzati? Entro il 2018 Napoli avrà davvero un nuovo San Paolo? Il Napolista rivolge la domanda a Dario Boldoni, un tempo noto soprattutto per essere il cognato di Corrado Ferlaino, ma è soprattutto un grande esperto di impianti sportivi e industriali. È stato, tra le altre cose, relatore tecnico alla Camera dei Deputati del disegno di legge “Lolli-Butti” meglio noto come “legge sugli stadi di calcio”, la attuale 147, nonché consulente per la città di Napoli in vista dei possibili Europei di calcio. Insomma, uno che di stadi e di edilizia se ne intende, eccome. 

Allora, ingegner Boldoni, ci siamo per il nuovo San Paolo?  
«L’architetto Zavanelli è un eccellente architetto e una persona di indubbia professionalità, ma ho dei dubbi sul cammino del progetto stadio, dubbi che sono soprattutto di natura amministrativa. Mi spiego: la legge 147 del 2013, la cosiddetta legge degli stadi, impone che il progetto debba essere presentato da un soggetto proponente che è configurato. Insomma, a norma di legge ci devono essere, oltre alla squadra fruitrice, alcuni soggetti che hanno un background nel settore della produzione degli stadi e della finanza, quindi devono esserci partner tecnici. Solo un soggetto proponente così composto è titolato a presentare e soprattutto a fare avviare l’iter amministrativo; solo così il soggetto proponente mostra tutte le competenze per portare avanti il progetto. Per quanto riguarda il Napoli, non si hanno notizie di come sia composto il soggetto proponente. Le faccio un esempio diciamo così personale». 

Prego.
«A settembre 2014 ho chiuso il progetto di fattibilità del PalArgento ma non l’ho ancora presentato. E sa perché? Perché sto lavorando sul soggetto proponente, perché ci vogliono le forze imprenditoriali che siano in grado di dare valenza al progetto. Nel caso del Napoli, se, come credo, non si hanno le competenze per poter presentare uno studio di fattibilità, l’apertura di un iter amministrativo potrebbe non bastare perché potrebbe essere facilmente bloccato».

Quindi secondo lei ci sono concrete di possibilità che il progetto non parta?
«È ovvio che non possiamo giudicare appieno perché ci basiamo esclusivamente sulle notizie di stampa e quindi la nostra è una visione parziale. Al momento, considerando i dati a nostra disposizione, posso dire che a Napoli occorre uno scatto in avanti dal punto di vista professionale per poter portare a termine progetti di una certa rivelanza come questo. Anche dal punto di vista urbanistico sono scettico. La legge 147, che io conosco piuttosto bene, non consente deroghe allo strumento urbanistico, quindi nella presentazione del progetto e nell’istruzione della 147 devono essere risolti i problemi di tipo urbanistico. Che, invece, mi pare che non siano stati ancora affrontati. Quindi, sintetizando, direi che siamo ancora all’alba della vicende e gli scogli che ci sono davanti sono scogli importanti. Detto questo, l’attivisimo mostrato in questi ultimi mesi dal calcio Napoli è indubbiamente positivo: meglio fare qualcosa che stare a dormire.

Su qualche quotidiano è comparso il progetto dello studio Pagliara che potrebbe contare su investitori tedeschi pronti a rifare il San Paolo. Sarebbero un partner tecnico adeguato?
«Se uno deve andare a Roma, con la Ferrari è possibile che ci arrivi ma con la bicicletta non credo proprio. Mi meraviglierebbe una soluzione del genere perché la Astaldi ha problemi a dialogare con chi mette dei fondi, mi sembra strano che la Pagliara ci riesca. Per portare avanti progetti come questo del San Paolo occorre una grande professionalità e per reperire investitori importanti ci vogliono grandi influenze, grandi conoscenze». 

Eppure in Italia altre società o ci sono riuscite o ci stanno riuscendo.
«Finora l’unica società che è riuscita ad avere uno stadio di proprietà è la Juventus, seppur con diversi scivoloni, ma stiamo parlando della Fiat. Il Milan pare che adesso costruirà il suo stadio, anche se siamo ancora nella fase progettuale, ma Berlusconi è una persona influente, un imprenditore che ha il suo peso. Per la Roma stiamo parlando della capitale che ha un fascino e un’attrattiva particolare. Ripeto: portare avanti un progetto è terribilmente complesso e se manca la professionalità è impossibile, per questo mi piacerebbe vedere a Napoli una partenza di altissima professionalità a tutti i livelli».

Par di capire che lei non sta parlando solo di De Laurentiis.
«Su questo punto bisogna essere chiari. Io parlo da imprenditore. Se veramente qualcuno volesse investire dei soldi solo per rendere lo stadio più fruibile per i tifosi sarebbe un santo. De Laurentiis oggi dichiara di voler investire per avere le superfici commerciali e lo farà solo se poi potrà recuperare l’investimento. Non è certo un benefattore, non sarebbe il suo compito. Vuole mettere lo stadio a posto perché ne vuole ottenere un ricavo in termini economici, mi sembra ovvio e logico».

Perché in Italia è così complesso costruire uno stadio di proprietà mentre all’estero è la normalità?
«All’estero ci sono riusciti perché sono partiti prima. Ormai questa che sembrava la soluzione a tutti i  problemi economici per le società sportive, non lo è più. Lo sarebbe stata 7-8 anni fa, ma oggi non credo che sia una soluzione alla crisi delle società. Allora ci avrebbe proiettato ai vertici europei, oggi la crisi economica è enorme, c’è un crollo delle presenze negli stadi e non sarà facile invertire le tendenze. Non credo che basterà rifare il vestito agli stadi per tornare a vederli pieni. Siamo in un periodo in cui anche i centri commerciali chiudono perché non ci sono soldi».
Francesca Leva 

ilnapolista © riproduzione riservata