Caro petisso, l’avevamo preparata alla grande la festa dei tuoi 90 anni, il 28 luglio prossimo, ma, di’ la verità, ti eri stufato di soffrire per quel nodino su una corda vocale che ti procurava dolori lancinanti e per tutti gli altri accidenti di questi ultimi dieci anni tra casa e ospedali. Continuavi a dire Ornella, Ornella perché non mi vuoi, perché non mi prendi, perché non torniamo insieme? Volevi proprio raggiungerla la tua amatissima Ornella che se ne andò a metà degli anni Ottanta, giovane e bellissima, uccisa da un male cattivo.
L’avevamo preparata alla grande la giornata dei tuoi 90 anni con Vinicio, Canè, Nando Pennino, Montefusco e Juliano, i tuoi ragazzi, Gianni Barone, Mimmo Ronga, Mario Pesce e gli altri amici. Avevamo predisposto anche una batteria di fuochi artificiali sul terrazzo della tua casa in via Manzoni che s’affaccia sul San Paolo.
Quanti ricordi in quello stadio anche se tu, a Fuorigrotta, hai giocato appena nove partite, rischiando di perdere un occhio in uno scontro di gioco, dopo le 231 giocate al Vomero. Perché tu sei stato l’ala sinistra della collina e la tua prima abitazione napoletana era all’ultimo piano di un palazzo di piazzetta Arenella, angolo via Giacinto Gigante, l’appartamento che comprasti con i sei milioni del primo ingaggio del Napoli che t’aveva preso dal Novara.
La festa non si farà perché, oggi, è un mese esatto che hai voluto lasciarci. Sei volato da Ornella, la tua adorata moglie (viaggio di nozze sulla costiera amalfitana e subito in ritiro col Napoli di Monzeglio, primo raduno all’Hotel Parker’s del corso Vittorio Emanuele, estate del 1952).
È probabile che, su un tappeto di nuvole, starai giocando con quelli del Grande Torino che sono lassù dal giorno del disastro aereo di Superga. Allo stadio Flaminio, quand’eri alla Roma, avevi giocato contro quella fantastica squadra e mi raccontavi di Maroso, il terzino granata che non ne avevi più visto uno uguale, puro artista del pallone.
Accidenti, petisso, i ricordi e quei tuoi lunghi racconti notturni a noi che eravamo i tuoi alunni della luna. Cominciarono al “Ragno d’oro”, in Piazza Medaglie d’Oro al Vomero, le notti interminabili in cui ci raccontavi il calcio e ti volemmo subito bene perché il tuo cuore era buono e generoso, i tuoi occhi brillavano di innocente furbizia e la cantilena castigliana di “napoletano nato casualmente a Buenos Aires” ci affascinava tutti.
La ricordo bene la tua cantilena quando snocciolavi i nomi del leggendario River Plate “… e Munoz, e Moreno, e Pedernera, e Labruna, e Loustau …” e tu nelle giovanili del River avevi giocato con Di Stefano. Chi mi racconta più il calcio come sapevi fare solo tu, menestrello del pallone, mandandoci tutti al diavolo quando ti interrompevamo, “ … e che ne sapete voi!”.
Una vita insieme e quel tuo cuore azzurro, il più azzurro di tutti, legatissimo a Napoli e al Napoli per il quale, da allenatore, hai gioito e di più sofferto spargendo centinaia di cicche tutt’attorno alla panchina, quel tuo milione di sigarette, il fumo che ti ha procurato tutti i danni degli ultimi anni. Ma non cedevi mai, tornando più vispo e allegro da ogni ricovero in ospedale per riprendere i tuoi racconti. Finché non ne hai potuto più e il cuore ha ceduto.
Oggi, gli amici ti ricorderanno alla messa che si terrà alla Basilica di Capodimonte alle ore 19. E, con gli altri, ci sarà tuo figlio Roberto, e ci sarà Rodriga la badante romena che ti ha assistito negli ultimi cinque anni con la dedizione e l’affetto di una sorella. Ciao, petisso, non ti scorderemo mai.
Mimmo Carratelli