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Colombari, Jeppson e Savoldi, i tre acquisti “folli” del Napoli

Colombari, Jeppson e Savoldi, i tre acquisti “folli” del Napoli

Eh, no, signori, ho quasi deciso di tagliare i ponti con i mass media in questa pazza estate in cui le voci di mercato sembrano rincorrersi come un passaparola tra i vicoli di Napoli. Leggere un quotidiano (ormai lo faccio solo dal barbiere), accendere la tele o sintonizzarsi su una qualsiasi radio commerciale-libera per sapere qualche “certezza” sul calciomercato degli azzurri sta diventando più difficile di trovare un ago nel pagliaio. C’è da diventare matti, il calcio mercato (parlato) del Napoli sta assumendo sempre più i contorni di una giostra impazzita su cui salgono giocatori delle più svariate nazionalità. Ti viene voglia di staccare la spina e reinserirla a mercato finito. L’anno scorso impazzavano le pseudo trattative con procuratori di calciatori della Premier League, della Liga Spagnola, della Ligue 1 e campionati vari con una carenza anemica di trattative in Italia. Tra le decine di nomi che andavano per la maggiore, da Fellaini a Mascherano, da Gonalons a Sandro, presi nessuno. Anzi Michu, David Lopez e De Guzman. Quest’anno sembra andare di moda l’italiano sicuro, il calciatore della Nazionale o quello di belle prospettive. Gabbiadini lo abbiamo già, Valdifiori lo abbiamo preso, ora si punta su Darmian. Quello che non cambia sono i procuratori che fanno i propri interessi, le società che non parlano quasi più di prestiti, ma di compartecipazione nel pagamento dell’ingaggio. La comproprietà sembra oramai roba da preistoria. Sicuramente il “caos calmo” o il “rumore assordante” delle notizie false non ha una sola fonte, non sono certamente solo i mass media a far girare voci da verificare. Ed allora il “botto” tarda ad arrivare e i tifosi devono ancora una volta rimandare le discussioni sul modulo di Sarri dopo l’acquisto del giocatore X o Y. Dobbiamo solo rassegnarci e aspettare fiduciosi, tanto prima o poi un po’ di mortaretti li spareremo.

Giovani e meno giovani sanno che il Napoli, nella sua lunga storia, ha sempre sparato colpi grossi (non ultimi i 40 milioni spesi per Higuain due anni fa) e questi hanno sempre avuto un che di inatteso e teatrale. Servivano per anestetizzare il tifoso e fare abbonamenti, una volta si soleva fare così. Acquisti attesi ma anche arrivati quando nessuno se lo aspettava più grazie a presidenti che hanno fatto della “furbizia partenopea” un’arma in più giocando di astuzia e pur sapendo di creare polemiche che avrebbero messo la nostra città in cattiva luce col resto d’Italia. Pensare a come Fiore rubò Sivori alla Juve e Altafini al Milan o come Ferlaino arrivò quasi alle mani per prendere prima Clerici e successivamente Savoldi è come mettere in scena un teatro di avanspettacolo con attori consumati e colpi di scena clamorosi.

In questa sede ripercorreremo la storia dei tre acquisti più cari nella vita degli azzurri in rapporto ai tempi in cui sono stati effettuati. In pratica quando fecero scalpore. O meglio scandalo. Quindi ogni paragone col presente è da prendere molto con le molle. Tralasciando i 14 miliardi di Maradona che non fecero tanto rumore poiché a metà anni ’80 le grandi squadre già investivano miliardi per Falcao, Socrates, Junior o Platini (poi stavi prendendo il più forte al mondo mica Pinco Pallino) o la stessa cifra pagata per Daniel Fonseca nel 1992 (alta ma in considerazione del fatto che le casse del Napoli erano un po’ vuote) restano gli anni 2000 dove ci tornano in mente i 17 milioni di Cavani e di Inler (sigh sigh…). Ma queste erano già storie ordinarie. Noi vogliamo presentarvi gli acquisti straordinari del Napoli in relazione alle epoche in cui sono stati fatti, al valore storico che hanno assunto tanto che il nonnino di oggi dirà sicuramente tre nomi: Colombari, Jeppson e Savoldi.

Anni Trenta. Nel 1930 il Napoli, per avere il più forte centromediano di Italia, di proprietà del Torino e nazionale italiano, Enrico Colombari, sborsò la notevole cifra di 250mila lire, una somma enorme per quegli anni più, si dice, un premio in nero al giocatore. Il presidente Ascarelli capì, innamorato della sua città, che per fare grande la squadra bisognava investire su giocatori forti. E lo fece. Il calciatore spezzino fu soprannominato “O banco ‘e Napule” perché la prima volta che, in un contrasto con un avversario, cadde a terra, un tifoso esclamò “E’ caduto o banco ‘e Napule”. Fisico da granatiere, testa alta, grande resistenza nella corsa, praticamente imbattibile nell’uno contro uno. Quando era un calciatore azzurro, giocò anche tre partite in Nazionale in un’epoca dove era comunque difficile contrastare il predominio dell’Ambrosiana Inter o della Juventus dei cinque scudetti consecutivi. Ebbe contrasti con mister Garbutt per il grande temperamento che lo contraddistingueva e perché ogni tanto bussava a denari. Con Buscaglia, Innocenti e Castello formò, davanti a Cavanna, una delle difese più forti della storia del Napoli. Giocò 213 partite mettendo a segno anche sei gol nell’arco di sette campionati.

Anni Cinquanta. Nel 1952 il presidente Lauro fece il gran colpo di mercato portando a Napoli lo svedese Hasse Jeppson, messosi in luce nei Mondiali del 1950 in Brasile, da tutti considerato il primo acquisto boom dell’intero calcio italiano. Nessuno, infatti, fino ad allora aveva superato la soglia dei 100 milioni di lire per avere le prestazioni di un giocatore. Ci riuscì Achille Lauro il cui slogan era una via di mezzo tra il politico e lo sportivo. “Un grande Napoli per una grande Napoli” recitavano così i manifesti in città durante la sua campagna elettorale conclusasi con un plebiscito. Biondissimo, belloccio, occhi chiari, un pezzo di marcantonio di 1,80 cm., venne a Napoli e fu subito appellato “Mister 105”, fu quella la cifra che il Napoli investì per assicurarsi le prestazioni del vichingo di Goteborg, 75 milioni all’Atalanta e 35 al giocatore su una banca rigorosamente svizzera. Ad onor del vero anche a lui fu affibbiato lo stesso soprannome di Colombari poiché nell’immaginario collettivo il banco di Napoli, evidentemente, doveva essere il luogo dove vi erano più soldi in città. Tennista, polivalente, aveva un fisico invidiabile e spesso mostrava i segni delle botte che prendeva dai difensori avversari in duelli epici dove il suo ciuffo biondo svolazzava nelle aree avversarie. Giocò meno del previsto poiché quello che doveva essere il duo atomico, con l’acquisto di Vinicio, non decollò mai per questioni di modulo e di gelosie. Una sola volta i due infiammarono il Collana quando maciullarono la Pro Patria per 8 a 1, tre gol del brasiliano e due dello svedese. Fino a che rimase a Napoli, Jeppson si avvalse di due ali come Pesaola e Vitali che schizzavano sulle fasce e piazzavano la palla a centro area da dove il bomber biondo bucava le reti avversarie. Giocò 112 gare e fece 52 gol risultando uno dei più prolifici marcatori azzurri di ogni tempo. Ogni volta che tornava a Napoli, prima di morire, gli scappava una lacrimuccia quando ripensava a quanto affetto ha ricevuto in città.

Anni Settanta. Nel 1975 il Napoli fece il record di abbonamenti superando anche quelli dell’era di SivoriAltafini quando Fiore li faceva pagare a rate. Alla vigilia della prima partita di campionato il cassiere contò 71mila abbonati e Ferlaino dovette leccarsi i baffi. Fu lui chiaramente a trattare l’affare Savoldi, chiamatelo “Mister due miliardi”, “Beppe gol” o come vi pare ma quell’estate la ricordo bene, le magliette false con il testone riccioluto di Savoldi invasero la città, si parlava apertamente di scudetto poiché il Napoli aveva una certezza, oltre che l’ottimismo della folla e dei giornali. Aveva, in pratica, mantenuto la stessa intelaiatura dell’anno precedente quando era arrivato secondo a due punti dalla Juventus, cambiando solo Clerici con Savoldi. Ma l’inghippo, come poi rivelarono non molti anni dopo Vinicio da allenatore e Juliano da giocatore, fu proprio quello. Il Napoli doveva prendere il giocatore bergamasco ma non doveva vendere Clerici perché il lavoro che quest’ultimo faceva sulle fasce poteva essere oro colato per la testina di Beppe che, in quanto ad elevazione, non aveva eguali in Italia. Savoldi fu pagato un miliardo e 400 milioni più la cessione di Clerici e metà Rampanti al Bologna. Totale due miliardi due. Non vi dico il putiferio mediatico che si scatenò con Napoli accusata di spendere i soldi per il calcio quando c’era il colera, la spazzatura, i disoccupati, la malavita. Fortunatamente Enzo Biagi venne in difesa dell’affare di Ferlaino e scrisse: “A Napoli sono in crisi non perché hanno comprato Savoldi ma perché non hanno saputo vendere i Gava”. La famiglia democristiana dei Gava dominava in città e non solo. Alla fine 118 presenze e 55 gol, un bel bottino, ma ancora oggi Beppe (e lo ha scritto anche nel suo recente libro “Lo Ziballone”) si rammarica per non aver dato lo scudetto ai napoletani che lo idolatrarono come un Dio in terra.
Davide Morgera (foto dell’Archivio Morgera)

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