Del perché Vinicio era più bravo di Arrigo Sacchi ma fu vittima dell’integralismo

Wolfsburg 0 Napoli 4 al 35mo del secondo tempo. Il Napoli prende un goal in contropiede. Roba da polli? No. Tutt’altro. È l’apoteosi della mentalità europea di Benitez. Vinco 4 a 0 fuori casa e prendo un goal in contropiede perché continuo ad attaccare. Perché il mio gioco consiste nell’imporre il mio gioco (scusate il […]

Wolfsburg 0 Napoli 4 al 35mo del secondo tempo. Il Napoli prende un goal in contropiede. Roba da polli? No. Tutt’altro. È l’apoteosi della mentalità europea di Benitez. Vinco 4 a 0 fuori casa e prendo un goal in contropiede perché continuo ad attaccare. Perché il mio gioco consiste nell’imporre il mio gioco (scusate il bisticcio di parole). Niente tattiche sparagnine. Fatto un goal penso subito al successivo.

In quell’istante me è venuto tumultuosamente in mente il Napoli di Luis Vinicio.

In passato (e mi scuso con Max se cito il passato) soltanto Vinicio ci aveva fatto conoscere questa mentalità. Quando con un manipolo di calciatori non eccelsi incantò l’Italia con un calcio spettacolare. Unico caso nella mia vita di tifoso del Napoli in cui ho visto il lavoro del tecnico incidere molto sul rendimento della squadra. Un lavoro sulla testa, sulla mentalità dei calciatori. Perché poi per il resto nessuno può cavare sangue dalle rape. Un Napoli olandese, si diceva allora. Mi ricordo di un Napoli- Juve finito 2 a 6 del 15 dicembre 1974. Con la squadra che per non rinunciare al suo gioco beccò un gran cappotto. Ma uscì tra gli applausi.

Eppure Gianni Brera, italianista di ferro, scrisse (ma ancora non c’erano i tre punti) “la tattica reinventata da Vinicio ho già avuto occasione di dire che è cervellotica e pericolosa: qualcuno si è sdegnato: subito dopo è scesa la Juventus a Napoli e ha vinto 6-2. Era la stessa Juventus che aveva penato a battere la Roma e l’Inter. Il Napoli non ha ritenuto di doverla rispettare e le sì è spalancato addossando i difensori ai centrocampisti: nelle molte pertiche libere davanti a Carmignani, gli juventini si sono avventati a turno creando come minimo dodici palle gol. Allora Vinicio ha ammesso di essere ancora giovane, come tecnico, e di dover imparare molte cose. È sembrato a tutti pieno dì umiltà e saggezza.”

A mio avviso Brera fu ingiusto e ingeneroso. Dimenticando che non solo quel capitombolo ma tutto il buono che il Napoli aveva fatto era da ascrivere al coraggio tattico innovativo di Vinicio.

In quel campionato comunque il Napoli arrivò secondo a due punti dalla Juventus. Perdendo i due scontri diretti. Certamente se li avesse pareggiati entrambi …anche uno solo… Però per pareggiarli forse ò lione avrebbe dovuto rinnegare le sue idee almeno in due partite. Che dico rinnegare? Magari soltanto attenuare certe scelte. Era possibile? Diciamo la verità, in fondo Vinicio era un integralista. Questa era la sua forza. E con questa scelta totale ottenne i suoi grandi risultati.

Questa la sua debolezza. E come tutti gli integralisti pagò un prezzo alto alla sua interpretazione della coerenza tattica.

Scrisse Antonello Perillo in un pezzo di qualche tempo fa (Max non ti agitare, era prima dell’avvio dell’era Benitez): “non ho dubbi: il più grande allenatore del Napoli di tutti i tempi è questo splendido giovanotto ottantenne, nato in Brasile ma partenopeo nel cuore.”

Detto questo sugli almanacchi Vinicio non compare perché non ha vinto nulla. È rimasto come l’uomo dalle occasioni perdute.

Il suo valore resiste soltanto nella memoria di alcuni tifosi attempati come me. Personalmente penso che Vinicio sia stato un tecnico straordinario. Di gran lunga più bravo di tutti i suoi colleghi del tempo. Altro che Arrigo Sacchi …Gli sono mancate due cose per passare alla storia: un poco di fortuna ed un poco di semplice buonsenso.
Guido Trombetti

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