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Quando il Napoli di Vinicio demolì il Verona di Valcareggi e Bachlechner

Quando il Napoli di Vinicio demolì il Verona di Valcareggi e Bachlechner

L’ultimo anno in cui feci la raccolta delle figurine Panini alla “luce del sole”, vale a dire quando si portavano a scuola i doppioni per scambiarli o per giocare in strada in tutti i modi possibili ed immaginabili, prima della fase adolescenziale in cui si inizia a pensare anche a qualche ragazzina, c’era una figurina che non mi usciva mai e che dovevo sempre affannare per averla. Era quella di un certo Klaus Bachlechner del Verona, stopper ruvido e granitico, uno di quelli che ti spezzavano le gambe se provavi a superarlo. Come succedeva anni prima con la maggioranza dei ragazzi che “sniffavano” le bustine dei calciatori e non usciva mai Pizzaballa. Guarda caso, anche lui del Verona. Una maledizione, poi scoprimmo il perché quando alla Panini, molti anni dopo, confessarono che di quella figurina ne avevano stampate, per errore, un numero più esiguo. Roba da fare ammattire gli italiani.

Ricordare oggi il signor Bachlechner, 204 presenze in Serie A e un solo gol, che attualmente fa il commercialista e gestisce delle strutture turistiche nella sua zona, ci fa capire quanto sia cambiato il calcio, le sue dinamiche e il modo in cui oggi viene gestito il rapporto tra italiani e stranieri presenti in squadra. Se oggi tutte le compagini di serie A hanno al massimo due o tre italiani su una rosa di quasi tutti stranieri allora si capirà quanto sia stato esotico e stravagante negli anni ’70, con le frontiere chiuse, avere in formazione uno con il nome così. Non si poteva non notare un giocatore così che, dopo il bando agli stranieri, sembrava averle riaperte per un attimo in mezzo ai signor Rossi e Bianchi che popolavano il campionato italiano, all’epoca il più autoctono d’Europa. Bachlechner. Già il pronunciarlo ci fa storcere la bocca in una finta imitazione tedesca che ci riesce difficile. Eppure il giovanottone rappresentava un caso più unico che raro in “quel” calcio fatto di indigeni così come oggi può diventare un esempio diametralmente opposto avere in squadra un italiano tra tante etnie diverse. Della serie “ma che lingua si parla negli spogliatoi?” e quando devono dire “merda” per augurarsi una buona partita, quando sono tutti in circolo abbracciati, come lo dicono?

Negli anni ’70 bastava essere nati a Brunico, in provincia di Bolzano (Italia), poco più di 15.000 anime, per essere considerato una sorta di straniero. Il suddetto stopper era chiaramente bilingue, parlava correttamente il tedesco e l’italiano sebbene quasi l’85% dei suoi concittadini si esprimessero con la lingua dei Sassoni. Nel cuore delle Alpi nascevano italiani, a Brunico c’è perfino un monumento all’Alpino, ma si respira in tutto e per tutto un’atmosfera da tipico paese teutonico. Lì, nella Val Pusteria, nacque nel 1952 questo biondone che ha incrociato spesso il Napoli nella sua carriera al Verona, dove ha giocato dal 1972 al 1978 tranne una breve parentesi al Novara nel 1974-5. E il signor Klaus era in campo anche nella famosa gara del 2 novembre 1975 quando gli azzurri stracciarono i gialloblu per 4 a 2 con reti di Juliano, La Palma, Braglia e Savoldi dopo essere stati in svantaggio per un rigore trasformato da Luppi concesso con benevolenza dall’arbitro Menicucci (si sussurrò addirittura che il direttore di gara fosse compagno di tennis di Valcareggi, allenatore di quel Verona).

In un’atmosfera scura, con un campo pesante per la pioggia caduta in mattinata ed un cielo coperto da un manto di nubi minacciose, il Napoli del “collettivo” e della personalità ben definita salì sulla giostra ed annichilì l’Hellas. Fu uno spettacolo, raccolsi tutti i giornali sportivi del lunedì per gustarmi le foto delle reti napoletane, attesi il mercoledì per leggere il Guerin Sportivo. La più bella fu quella di La Palma che bucò Ginulfi in uscita sul palo basso alla sinistra del portiere dopo una splendida triangolazione con Juliano, una sorta di miracolo di precisione e tempestività. Cori unanimi, tutti iniziarono a parlare di scudetto, anche se si era solo alla quarta giornata, perché il Napoli aveva dominato, la squadra di Vinicio sembrava imbattibile, nonostante con Savoldi avesse dovuto cambiare modulo di gioco. Il Napoli esplose in una poderosa e significativa partita mettendoci ardore e combattività, fece una rimonta esaltante che in undici minuti lo portò dallo 0 a 1 al 3 a 1 (senza dimenticare due traverse di Boccolini). Non vi dico il nostro Mimmo Carratelli cosa combinò con le pagelle. Nove a Boccolini e Orlandini, polmoni di un centrocampo che farebbe arrossire Inler e Gargano, due giocatori con l’argento vivo addosso, Otto a Burgnich e Carmignani, splendidi baluardi difensivi a dimostrazione che nel calcio all’olandese si può fare bene anche la fase arretrata e Sette a tutto il resto della squadra. Quel Napoli sembrò recitare una parte imparata a memoria dando vita a una partita che ancora oggi resta memorabile ed è ricordata come la “vendemmiata di Verona”. In quella partita Bachlechner marcò prima Braglia e poi passò su Savoldi ma non beccò palla. Credo che, uscendo dal terreno di gioco, ancora in bambola e con la testa che gli girava come una trottola, abbia lanciato qualche bestemmia. Anche in tedesco.
Davide Morgera  (in copertina il numero del Guerin Sportivo di quella settimana, con in copertina Pier Paolo Pasolini ucciso tre giorni prima; poi la figurina di Bachlechner e l’esultanza di Savoldi e La Palma. Dall’Archivio Morgera)

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