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La vergogna del calcio italiano: salva il Parma coi soldi (delle multe anti-Napoli) destinati ai progetti sociali e a combattere il razzismo

La vergogna del calcio italiano: salva il Parma coi soldi (delle multe anti-Napoli) destinati ai progetti sociali e a combattere il razzismo

Proprio quando si penserebbe d’averle viste tutte, il calcio italiano si supera e tira fuori un coniglio dal cilindro per provare (perché di maldestro tentativo si tratta) a salvare il Parma, una società che ha già in carico un’istanza di fallimento, un’indagine per bancarotta fraudolenta e l’interessamento della Procura Antimafia per movimenti di persone sospette intorno al relitto della società. Visto che, come ampiamente prevedibile e sacrosanto, non ci sarebbe mai potuta essere unanimità nel raccogliere contributi volontari dalle società, a qualcuno è venuto in mente di rompere l’unico porcellino salvadanaio che la Lega Serie A possiede, ovvero quello che contiene le multe.

Sanzioni per uso di petardi, fumogeni, lancio di oggetti, insulti, striscioni/cori di discriminazione razziale e territoriale (la quota maggiore), per una cifra complessiva compresa tra i 5 e i 6 milioni di euro. Soldi che avrebbero dovuto essere spesi per progetti sociali e di promozione dello sport (campi in periferie e oratori), per combattere il razzismo e sviluppare meglio la cultura sportiva finiranno invece a coprire gli stipendi dei calciatori del Parma fino a giugno.

Soldi incassati come parziale compensazione di comportamenti scorretti dei tifosi che finiscono a coprire il comportamento scorretto (e forse criminale se la magistratura lo accerterà) dei dirigenti.

Chi era in Lega Serie A stamane, quando sono arrivati i finanzieri per raccogliere documenti relativi al Parma FC, ha descritto il gelo che è calato tra i presenti alla vista dei funzionari delle Fiamme Gialle. Si scopre in queste ore che il Parma aveva venduto i diritti di sfruttamento del suo marchio a un’altra società per una cifra intorno ai 30 milioni. Una società posseduta ovviamente dalla stessa proprietà del Parma, quindi nessun passaggio di denaro, solo un maquillage contabile. La mano destra vende l’orologio alla sinistra, ma l’orologio resta addosso alla stessa persona senza reale passaggio di denaro. Un giochino che hanno fatto in tempi diversi in tanti in Serie A, tra gli altri Inter, Milan, Genoa.

Nell’infuocata Assemblea di Lega è andato in scena un duro confronto tra i presidenti, con due votazioni: la prima per decidere se appoggiare il piano di salvataggio ha visto 16 squadre favorevoli, 3 astenute (Roma, Napoli, Sassuolo) e una 1 contraria (Cesena). Quando poi si è trattato di definire anche i termini economici dell’intervento si è allargato il fronte dei contrari e al Cesena si sono aggiunti Juventus e Napoli, mentre Roma e Sassuolo si sono astenuti, la mozione è passata con 15 voti a favore.

Ora il piano congegnato da Tavecchio può procedere ai passi successivi: in cosa consiste? Semplicemente, per sostenere i costi delle prossime due partite (in casa contro Atalanta, fuori casa contro Sassuolo), servono circa 100 mila euro che saranno messi a disposizione dallo sponsor tecnico Errea. Dopo queste due partite ci sarà l’udienza fallimentare e in Figc confidano che i giudici decideranno per il fallimento. A quel punto la Lega Serie A offrirà la cifra raccolta (tra 5 e 6 milioni di euro) per garantire l’esercizio provvisorio della società fino alla fine della stagione. Questa cifra però copre solo il 50% degli stipendi dei tesserati che quindi dovranno in questi giorni accettare la decurtazione fino a giugno per consentire l’attuazione del piano. Nella definizione di questo quadro è stato per altro bellamente ignorato Manenti che ad oggi è l’unico ad avere il diritto di gestire il Parma e potrebbe anche avere in serbo qualche coup de théâtre.

Intanto il salvadanaio è stato rotto, che si farà al prossimo giro? Non ci sarà molto da attendere per scoprirlo visto e considerato che i “dead men walking” sono molteplici, l’indebitamento complessivo delle squadre di A al 30 giugno 2014 è salito a 1,6 miliardi di euro. Basta uno sponsor che paga in ritardo, una stagione finita fuori dalle coppe, qualche operazione di mercato che non dà i frutti sperati e ci si ritrova in crisi di liquidità, e da lì è un attimo finire come il Parma.

Finire. È il verbo giusto da usare perché la sostanza non cambia, il destino del Parma è ormai segnato. Per evitarlo Manenti dovrebbe far entrare qualche decina di milioni di euro nelle casse prima del 19 marzo. Dopo quella data toccherà al tribunale fallimentare provare a traghettare il Parma verso la fine del campionato e l’asta che probabilmente andrà deserta perché difficilmente ci saranno imprenditori disposti a spendere 30 o più milioni per una squadra di Serie B di una piccola città di provincia.

Resta l’amarezza di una vicenda gestita male e che volge a finire al peggio. Figlia di politiche aziendali dissennate, dell’assenza di organismi di controllo e regole certe e di una Lega che di fatto non è né più né meno un’assemblea di condominio senza amministratore. Nessuna autonomia, nessun potere e nessuna prerogativa per tutelare quello che è l’unico “valore” che produce reddito per tutti: il campionato.
Andrea Iovene

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