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Al suo arrivo, Benitez disse: «Se i tifosi ci spingeranno sempre, andremo lontano»

Al suo arrivo, Benitez disse: «Se i tifosi ci spingeranno sempre, andremo lontano»

Il Napoli pareggia in casa con l’Atalanta e allunga a quattro le partite senza vittorie in campionato. L’ultima risale al 23 febbraio: 2-0 al Sassuolo. Dopodiché sconfitte a Torino e a Verona, pareggi casalinghi con Inter e Atalanta. La zona Champions si è allontanata di due punti, ora siamo quinti a meno cinque dalla Lazio, terza, e superati dalla Sampdoria. Quando mancano dieci partite alla fine del campionato. Adesso c’è la sosta, si riprende il sabato santo con Roma-Napoli.

Questa è la realtà in campionato. Cui va affiancata quella nelle Coppe: quarti di finale in Europa League, semifinale in Coppa Italia, vittoria della Supercoppa. Quindi, una coppa vinta, in corsa nelle altre due, e in corsa per la zona Champions seppure in ritardo e in una striscia negativa. La realtà percepita racconta ben altro. Almeno a Napoli. Dove, del resto, la contestazione era in atto già durante il preliminare di Champions League, figuriamoci dopo un pareggio con l’Atalanta.

La partita di ieri. Sono in totale sintonia con quanto scritto da Fabio Avallone. Il Napoli ha giocato la sua partita, col suo gioco e ha avuto un bel po’ di occasioni per segnare. Due salvataggi sulla linea, un palo, le fisiologiche parate del portiere avversario. Non è un delitto (come cambiano i tempi) osservare che abbiamo subito gol su un errore arbitrale ben più clamoroso di quello di Tagliavento sul fuorigioco di Caceres. Ma il Napoli, come scritto la settimana scorsa, per i tifosi deve vincere 3-0 tutte le partite. Ci siamo già soffermati sul punto. È cambiato lo schema: i tifosi non accompagnano più, pretendono, vanno all’incasso e se non incassano si incazzano. Altro che spalla a spalla. Ho letto su facebook uno status di Carlo Tarallo, uomo di curva, a proposito del clima che ha trovato nei Distinti (“esperienza drammatica. un incubo. chiacchierano, criticano, si abboffano di panini, non tifano. zero. alla fine del primo tempo accenno di fischiata (con mia sobria reazione). nun sann nient. pensano alle bollette, stanno sempre col cellulare in mano, una cosa allucinante. mai più”): lo sottoscrivo in toto, tranne quel mai più. Vado lì per poter sventolare la mia bandiera. Ieri ho anche pensato che dalla prossima volta andrò allo stadio con le cuffiette e la musica a tutto volume.    

Mentre ieri inveivano, ho completato un altro pensiero. Il Napoli ha un gioco che è antropologicamente estraneo alla città, o quantomeno alla città rappresentata al San Paolo. Giustamente Avallone scrive che il Napoli è riuscito a non perdere la testa in una situazione evidentemente border-line (il vantaggio non concesso dall’arbitro a Mertens sull’1-1 per andare ad ammonire un atalantino ha messo l’anima in pace a chi qualche partitella l’ha giocata). Il tipo di gioco del Napoli è sofferto dal pubblico. Che vorrebbe undici saette lanciate contro il nemico. Ieri certamente non abbiamo (abbiamo, che bella parola) disputato la nostra miglior partita ma sono convinto che è il modo di giocare a non essere assimilato. Il fraseggio per provare a stanare gli avversari è vissuto male. Non so se ci avete fatto caso, ieri David Lopez ha provato a chiedere il sostegno del pubblico, così come Zapata dopo il gol. Invano. Ieri era una serata particolare. La curva A era vuota e la B in silenzio perché a lutto. A questo proposito ho una domanda che più che altro è una curiosità: ma un uomo che ha vissuto tutta una vita per il Napoli sarà stato contento di essere commemorato col silenzio mentre la sua squadra giocava? Probabilmente sì, non lo so. Fatto sta che senza curve, il tifo langue. Dei Distinti abbiamo già detto.

Francamente non mi addentrerei in discorsi che riguardano i cambi. Gabbiadini non ce la faceva più. Io avrei persino schierato Zapata dal primo minuto al posto di Higuain ma mi rendo conto che sarebbe scoppiata la guerra civile. Il Napoli le sue occasioni le ha avute. Avrebbe potuto fare di più, per carità. Era una di quelle partite da vincere uno a zero all’88esimo, le partite che piacciono a me (tipo un Napoli-Atalanta di tanti anni fa, segnò Giacchetta). Non è andata così.

Il Napoli è sicuramente in crisi di risultati in campionato. Le tre competizioni si fanno sentire. Ma non è esclusiva nostra: il Wolfsburg ha rischiato di perdere col Mainz. Il rischio di perdere la Champions c’è, è innegabile. Ma è paradossale, per non dire altro, che ci si debba sentire stranieri in patria, che ci si debba sentire in difetto se si difende la propria squadra. A fine partita si scatena – e anche questo lo abbiamo già scritto – un livore che ha radici altrove. E che non porterà da nessuna parte. Magari l’obiettivo è sfogarsi e se questo può contribuire anche solo al raggiungimento di un equilibrio psico-fisico, ben venga. Non ci si interroga mai su questo punto, tranne che qui. Si procede seguendo un sistema binario gioia-depressione che si ripeterà all’infinito. 

“Ecco, sta dicendo che è colpa del pubblico”. No, sto dicendo che è cambiato tutto. Per me tristemente in peggio. Per me il calcio, lo stadio, è sempre stato un’altra cosa. Magari sono ricordi deformati. Certo, c’era sempre chi inveiva ma si aveva la sensazione di stare tutti dalla stessa parte. Sensazione che non provo più.  

«Non avremo paura di nessuno, il progetto è di crescita ma se ci sarà da vincere subito non ci tireremo indietro. Questa squadra è molto più di un sentimento per la città: se saremo uniti, se i tifosi ci spingeranno sempre, andremo lontano». Così disse Rafa Benitez il 21 giugno 2013, in occasione della sua presentazione a Napoli. Tutto questo non è avvenuto. Anzi. 

Nessuno ha detto A dell’espulsione di Benitez, la prima della sua carriera. Notizia che è finita sulla BBC. Stiamo divorando noi stessi. E continueremo a farlo. Con Benitez e con chi verrà dopo di lui. Siamo tutti grandi competenti, tutti in grado di dire a un allenatore che cosa deve fare e che cosa no. Viviamo una realtà pericolosamente virtuale.

Detto questo, chiacchierando di pallone, sono rimasto colpito dalla scelta di De Guzman di tirare di piatto in occasione del palo colpito. Così come dai tiri a porta di Britos nel pre-partita: tre tiri, tre gol. Li guardo sempre con grande attenzione ed entusiasmo. Quand’ero piccolo mi lamentavo del fatto che nel pre-partita i calciatori non si allenassero sul terreno di gioco. Lo considero una sorta di risarcimento.  
Massimiliano Gallo     

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