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Psicodramma Real: Ancelotti sembra Tony Soprano quando scopre che uno dei suoi è una spia

Psicodramma Real: Ancelotti sembra Tony Soprano quando scopre che uno dei suoi è una spia

Quando Iker Casillas, facendo pesare il suo grado, indica il centro del campo a Cristiano Ronaldo, il Santiago Bernabéu ha appena finito di fischiare, il Real Madrid incassato quattro gol dallo Schalke 04, e Carlo Ancelotti sembra Tony Soprano quando scopre che uno dei suoi è una spia. A Madrid – sponda Real – sono così, sono sempre stati così: insaziabili, esigenti, capricciosi. È come se continuassero a sognare quello che hanno già, perché ormai non lo vedono più. C’è una storia che ha raccontato Jorge Valdano – a lungo direttore sportivo e direttore generale della squadra – che spiega come ragiona il tifo del Real Madrid: “Il giorno successivo all’ingaggio di Zinédine Zidane, la sede del club era in festa. Era stato centrato uno di quegli obiettivi che segnano la storia di un’istituzione sportiva. I giornali parlavano di acquisto record (fino a quel momento il più caro della storia del calcio), di un giocatore affascinante, di un grande successo di gestione. Con quella soddisfazione addosso io e Florentino Pérez uscimmo dalla sede per andare a pranzo in un ristorante vicino al Bernabéu. Andavamo con la guardia abbassata, soddisfatti di quello che, così credevamo, era stato un lavoro ben fatto. Ma un tassista che passava da quelle parti ci riportò alla realtà con un urlo: «Florentino, compralo ’sto cazzo di Mendieta, una volta per tutte»”.

È probabile che questa storia la conosca ogni singolo calciatore del Real, che se la passino per abituarsi alla domanda continua di vittorie, in una bulimia di calciatori da prendere, sogni da realizzare e speranze da spendere. Certo, lo Schalke 04 di Roberto Di Matteo ha spaventato il Real Madrid a casa sua, gli ha segnato quattro gol, non succede spesso: l’ultima volta era nel 2000 e a farglieli era stato il Bayern Monaco; certo, la disparità tra i calciatori di Ancelotti e i ragazzi tedeschi era evidente: il diciannovenne Leroy Sane che ha segnato un gran gol e Klaas-Jan Huntelaar che ne ha segnati due, non sono che frammenti di una allegoria rispetto ai campioni del Real; ma questo è anche uno dei motivi che rende il calcio una religione: ogni discussione prima della partita è teologia, e il miracolo corre sulla fascia. Quando il pallone perde l’imprevedibilità smarrisce anche il suo fascino, è nella speranza che si accumula e disperde, è dal calcio d’inizio al fischio finale che sta la sua gloria. Se Di Matteo avesse dovuto tenere conto del divario tecnico e delle insidiose variabili – generate da Ronaldo – con l’aggiunta dell’incognita Modric, e dei due gol incassati in casa, avrebbe dovuto sconsigliare ai suoi di giocare o chiedere l’utilizzo della carambola con la sovrapposizione dell’uomo in più.

È evidente che la squadra di Ancelotti sia in calo, ha perso con l’Athletic Bilbao ed ha ceduto il primo posto di Liga al Barcellona, ma basta tutto questo per fischiare? E mettere in discussione l’allenatore che ha riportato la Champions in bacheca? Ha ragione Cristiano Ronaldo che ormai ha superato Raul e tutti i record – sotto una colonna sonora di fischi su fischi – che dice a Benzema: «Verguenza, verguenza»? In 80 giorni, dalla conquista della Coppa intercontinentale al passaggio di turno di Champions: c’è stato un cambio totale di umore sugli spalti e una caduta di gioco in campo, oltre una marcatura scettico-critica tra tifo e squadra. E in pochi minuti si è realizzato quel vecchio teorema che ci viene consegnato dalla storia: è più facile distruggere che costruire, abbattere che conservare. Un catalogo di personaggi che sfiorano il mito ha bordeggiato l’eliminazione. In una sorta di cannibalismo di record e traguardi, una gara sbagliata si configura come un dramma agonistico. E, Cristiano Ronaldo, da super-futbolista diventa maschera di una scena teatrale: prima va, poi non va, poi va, lentamente e non senza solennità, a centrocampo; mosso dal principio di necessità ed eseguendo l’ordine del sergente Casillas – che si è perso tiri dalla prevedibile traiettoria, accumulando rimorsi e deve darsi una tattica epico-sentimentale di rimedio – ma non ha alzato le braccia, non ha applaudito né ringraziato come gli viene chiesto dal rito. E, dopo, in una semplificazione trascendentale: ha scelto il silenzio stampa.
Marco Ciriello

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