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Palermo-Napoli e il mistero Troja, il bomber che ammirò il calcio di Vinicio dalla panchina

Palermo-Napoli e il mistero Troja, il bomber che ammirò il calcio di Vinicio dalla panchina

Il calcio è un romanzo popolare, nulla da obiettare su questo. Storie e sfide che si intrecciano, partite speciali che ti vengono alla mente, calciatori che hanno segnato un’epoca o che semplicemente sono state delle meteore nella galassia della tua squadra del cuore. Credo che in ognuno di noi si accenda una lampadina ogni volta che si avvicina la prossima gara degli azzurri. Quella luce ci porta, conducendoci per mano, nei meandri di quelli che sono stati, appunto, dei veri e propri romanzi, ovvero quando il calcio si può narrare al di là del mero risultato sportivo e delle aride statistiche. È quello che racconteresti al nipotino davanti al camino e che tramanderesti ai posteri, è quello che è assurto a “storia e leggenda”, è quello che ci fa amare questo sport. Sono le storie che i sudamericani hanno sempre raccontato, che i Galeano e i Soriano (ma in Inghilterra resta un capolavoro assoluto “Febbre a 90” di Nick Hornby) ci hanno trasmesso con tutti i crismi di una letteratura dell’anima. E allora hanno ragione di esistere racconti epici quali l’amichevole tra Ungheria ed Inghilterra del 1953 quando i maestri del football furono sconfitti a Wembley dai magiari di Puskas, l’Italia – Germania 4 a 3 di Mexico ’70, la vita da pionere di Willy Garbutt o il “Maracanazo” quando l’Uruguay vinse la coppa del Mondo battendo i brasiliani in casa con conseguenti lutti. Mi rendo conto che gli esempi potrebbero essere tantissimi e mi fermo. Ma le storie di Palermo e Napoli che vengono alla mente, quali sono? Si potrebbe parlare di un intreccio tra il Reja giocatore rosanero e quello del futuro tecnico azzurro. Della caduta, mano nella mano, negli inferi della Serie B nel 1962-3. Di un triste pareggio giocato a pochi mesi dalla fine della guerra. Si potrebbe rinvangare il famoso “gesto dell’ombrello” che nel marzo del 1969 Altafini rivolse ai tifosi palermitani dopo aver realizzato un rigore, incurante di quello che avrebbe scatenato poi. Si potrebbero ricordare i 104 goal di Edinson Cavani che dalla Sicilia venne, con furore, a far innamorare i tifosi del Napoli.

Vorrei ma non posso, in questa sede. Oggi mi ronza per la mente un nome che ho sempre associato con la città di Falcone e Borsellino, quello di un giocatore indigeno che proprio nella partita del 1969 ci rifilò una doppietta prima che le camionette della polizia entrassero alla Favorita per cercare di calmare gli animi. Il nome è quello di una meteora, forse un carneade, un signor nessuno, chissà. Il suo cognome è Troja, detto Tanino (Gaetano), più siciliano di così. Una sola stagione nel Napoli, anno di grazia 1973-4. E forse anche la sua storia è un piccolo romanzo nazional popolare, di un calcio che macina e brucia talenti se ti va tutto storto ma può anche darti l’immortalità sportiva e la gloria eterna se azzecchi un campionato. Nel caso del “provincialotto” bomber l’ago della bilancia pende decisamente dalla parte negativa, ahinoi. Come il Napoli abbia puntato su un giocatore che nell’anno precedente aveva segnato un solo gol in Serie A resta ancora oggi un mistero fitto.

Estate 1973. Dopo la “cura Vinicio” gli azzurri aumentano i prezzi dei reingaggi, “Napoli: aria di sciopero”, “Grana al Ciocco per i reingaggi” tuonavano più o meno così i giornali cittadini in quel torrido agosto. Grande preparazione, ritmo serrato secondo i piani del neo tecnico brasiliano, voglia di iniziare a mettere in pratica i dettami di un calcio nuovo, finalmente totale dopo le asfittiche stagioni di inizio anni settanta. Ma gli azzurri erano disposti ad ogni sacrificio per seguire ad occhi chiusi “O’ Lione” meno che quello…finanziario. Ferlaino esaminò, in più di un summit con il direttore sportivo Janich, le esose richieste dei giocatori ed arrivò perfino a chiedere un incontro alla Regione per avere un contributo. Settimane difficili si susseguirono finché tutto si appianò con reciproci compromessi che testimoniavano come alcuni giocatori, tra i quali i fedelissimi Pogliana e Zurlini, tenessero davvero alla causa azzurra. In quel “listino prezzi” emerge come, dopo Juliano, Montefusco e Clerici che superavano i 30 milioni di lire d’ingaggio e Esposito e Carmignani che oltrepassavano i 20, c’è proprio lui, Troja. L’ex bomber del Palermo ebbe 17 milioni annui (ne chiedeva ben 25!). Braglia, che doveva poi diventare titolare quasi inamovibile e formare una coppia gol di tutto rispetto con “El Gringo” ( la ricordate la canzoncina “il Napoli è una mitraglia con Clerici e Braglia”?), ne ebbe soli 9. Di milioni.

Abbiamo lasciato gli azzurri con il cuore in gola per le corse fatte tra il verde del Ciocco quando iniziano a nascere i primi schemi, la fisarmonica, il tutti avanti e tutti indietro di Vinicio. Nella tattica di Luis i terzini dovevano spingere di sovente, non esisteva solo il fluidificante alla Facchetti o il fisso alla Burgnich. Il centrocampo si reggeva su Juliano che doveva coordinare i movimenti di Birillo Orlandini e di Ciccio Esposito mentre Troja doveva essere la “torre” della squadra e cambiare spesso posto per agevolare Clerici a intrufolarsi nell’area di rigore avversaria. Quindi, in fase di preparazione, il tandem d’attacco iniziale è questo strano connubio tra i funambolismi del brasiliano e la stazza di Tanino Troja, 1,81 cm per 83 chili, una sorta di bomber boa come voleva il calcio muscolare dell’epoca. Purtroppo con il passare delle amichevoli gli automatismi degli scambi non arrivarono, il duo d’attacco sembrava sempre qualcosa in divenire, l’affiatamento non giunse mai. I palloni alti, sulla carta di esclusiva competenza di Troja, rimasero spesso lettera morta, il giocatore non sempre si faceva vedere dai compagni per arrivare alla conclusione, aveva poca propensione ad entrare nel vivo del gioco e rari furono gli spunti buoni. I due, alla fine della preparazione, sembravano più due solisti che due che si cercano con manovre avvolgenti e ben congegnate. Morale della storia, la prima partita di campionato il Napoli la gioca con Clerici e Braglia e la formazione non sarà più cambiata. Nasce il mito di “Cavallo pazzo” Braglia, scaricato dal Foggia per poche centinaia di milioni, e di “Gringo” Clerici che a fine campionato realizzeranno 23 reti in due, una buona cifra per il campionato a 16 squadre. Alle loro spalle giocheranno poco ben tre attaccanti, Ferradini, Fotia e appunto Troja, in tutto otto presenze in tre.

Ma il romanzo nazional-popolare del calcio riserva sempre sorprese e colpi di coda, talvolta inaspettati. Gennaio 1974, Troja giocò 4 gare consecutivamente e il Napoli incamerò due vittorie in casa, un pareggio ed una sconfitta in trasferta. Eppure quello che doveva essere un attacco che, sulla carta, doveva fare sfracelli funzionò nei pochi minuti in cui Vinicio scelse di impiegare il palermitano. Ininfluente nell’esordio in azzurro nella sconfitta di Foggia (1 a 0 per i satanelli), Troja fu prezioso assist-man nelle tre successive gare. Nella partita col Bologna in casa fece una cavalcata travolgente che chiuse con l’invito al gol per Clerici che non si fece pregare e scaraventò in rete, nella successiva trasferta a Torino coi granata crossò in modo arcuato per la testa di Canè che portò il Napoli in vantaggio e nell’ultima gara in cui fu impiegato fece un prezioso lancio-assist ancora a Canè il quale bucò Spalazzi, il portiere genoano. Dopo quella gara si persero le tracce di Gaetano Troja, l’onesto cannoniere sparì dai pensieri di Vinicio che non lo fece più giocare. Calò tristemente il sipario, il Napoli lo vendette al Bari in Serie C. Triste y solitario final.
Davide Morgera
(dall’alto in basso, la formazione del Napoli a Palermo nel 1972, la figurina Panini di Troja, l’abbraccio Clerici-Troja dopo il gol al Bologna. Foto dell’archivio Morgera)  

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