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Quel sorriso sulla bocca di Hamsik mentre sta servendo Gabbiadini

Quel sorriso sulla bocca di Hamsik mentre sta servendo Gabbiadini

Tra tagli e montaggi sbagliati, linee prospettiche e pretesti di ogni genere, a qualche napolista incallito non sarà sfuggito l’unico vero particolare degno di nota nelle riprese televisive di ieri: il sorriso di Marek Hamsik. Che ricorda quello del Malcolm X interpretato da Denzel Washington un attimo prima della scena clue: quando ha capito per primo, da solo, tutto ciò che sta per accadere. Lo si nota a malapena, per una frazione di secondo, prima che la cresta nera sparisca nel cambio di inquadratura che segue un passaggio filtrante millimetrico fino quasi all’area piccola, dove Manolo Gabbiadini si inserisce e calcia la palla in rete. In quella bocca increspata c’è tutto: l’intuizione, la genialità dell’assist, la consapevolezza di essere tornati e soprattutto l’intesa.

Perché è in questa parola che è riassumibile l’esempio di Hamsik come capitano e giocatore (e lo aveva capito anche Walter Mazzarri, bontà sua, nella biografia che per altro non offre ulteriori motivi di interesse): il capitano del Napoli è un giocatore che se ne intende e che sa intendersi con i compagni. La sua intelligenza tattica sta non semplicemente negli inserimenti o nei tagli con cui spesso buca le difese, ma nel percepire gli spazi e saperli sfruttare nel migliore dei modi. È questo l’Hamsik al meglio della sua forma: lo stesso che, fino a poco tempo fa, tutti criticavano come «superato». La stessa identica cosa che è accaduta con Rafa Benitez.

In un calcio malato di scommesse e di un generale «ti piace vincere facile», dove vige la regola emotiva del capitalismo finanziario più sregolato (sii affamato, punta tutto e incassa subito), la saggezza strategica di un trequartista atipico e l’intuizione di un allenatore che ha saputo sempre proteggerlo e tutelarlo, dovrebbero far riflettere tutti i sostenitori del Napoli: i conti li si tirano alla fine, e non solo quella della presente stagione. Un progetto sportivo, come ogni tipo di progetto, è qualcosa che deve guardare lontano. E ai suoi interpreti occorre dare modo di ritrovarsi e crescere. Gabbiadini indica l’area di rigore davanti a sé e nello stesso momento Hamsik, con un solo tocco, gli fa smarcare tre giocatori: e sorride, nel farlo, perché ha appena avuto la stessa idea dell’attaccante. Si sono intesi, come i due grandi professionisti che sono, nonostante abbiano giocato finora pochissimi minuti assieme. E i ringraziamenti e l’umiltà di Gabbiadini («ho solo dovuto calciarla in porta») fanno capire a tutti qual è la vera direzione che il Napoli del futuro dovrà imboccare, se vuole rimanere su questo livello o crescere ancora. Lavorare, senza farsi distrarre. E insistere sulla tecnica e sull’affiatamento. Una squadra non è solo un gruppo di campioni: è un collettivo di uomini che sanno condividere idee e spirito di sacrificio. È un insieme di persone che conoscono il significato della parola intesa.
Angelo Petrella

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