Hitzfeld e la sua Dortmund: «Lì il calcio è religione e chi ama si vede quando le cose vanno male»

Domani si gioca Juventus-Borussia Dortmund, andata degli ottavi di finale di Champions League. Non si riesce a capire come mai la gran parte dei commentatori televisivi – tranne Mario Sconcerti – sia pervasa da un senso di ottimismo. Basterebbe aver guardato l’ultima partita degli uomini di Klopp per comprendere che la squadra ha ripreso a […]

Domani si gioca Juventus-Borussia Dortmund, andata degli ottavi di finale di Champions League. Non si riesce a capire come mai la gran parte dei commentatori televisivi – tranne Mario Sconcerti – sia pervasa da un senso di ottimismo. Basterebbe aver guardato l’ultima partita degli uomini di Klopp per comprendere che la squadra ha ripreso a giocare. Alla vigilia del match, Repubblica sfodera una bellissima intervista a Ottmar Hitzfeld, l’uomo che creò il miracolo Dortmund e che sconfisse proprio la Juventus (di Vieri e Zidane) nella finale di Champions del 1997. Di quella partita ma, soprattutto, di molto altro, Hitzfeld parla con Angelo Carotenuto. Una splendida intervista di cui qui riportiamo solo un brevissimo stralcio per rispetto del copyright.

«Arrivai nel ‘91, c’erano dei sogni, li abbiamo realizzati. La Ruhrpott è la regione degli operai, del lavoro durissimo. Non c’era altra cosa che il calcio, la vera religione di quell’area. Diventammo campioni con Chapuisat in attacco, uno svizzero che non erano in tanti a conoscere. Io sì, io venivo dalla Svizzera».

Stadio sempre pieno. Anche quando la squadra va male. Cosa c’è di speciale a Dortmund?
«Chi ama, mostra la sua passione, no? E chi ama, non lascia morire il proprio amore se le cose vanno male. Si resta uniti anche cadendo. Questa è l’eccezionalità di Dortmund, da sempre. Questo modo di vivere la squadra è una tradizione che si tramanda ai figli, ai nipoti. È il potere di una storia. Anche al Bayern ho vinto una Champions. Ma lì è tutto diverso, al Bayern il calcio è show-business».

Bassa classifica in Bundesliga e primo posto nel girone di Coppa. Come spiega questa strana stagione del Borussia?
«Davvero qualcuno crede che il Borussia possa retrocedere? Ha grande qualità, è una squadra fortissima. In campionato gli avversari hanno sfruttato certi squilibri. Vanno in gol e davvero sono in vantaggio. Nel senso che quelli del Borussia stanno lì e pensano: oddio, di nuovo, non è possibile. Così hanno iniziato a dubitare di loro stessi. Non sono situazioni semplici da risolvere. Ma in società sono stati bravissimi. Non hanno mai lasciato spazio a dubbi sul futuro di Klopp».

Poi c’è un passaggio sulle critiche.
Ma lei in Germania non è chiamato “Gottmar”, un po’ dio e un po’ Ottmar?
«Quando stavo per diventare ct della Svizzera, un giornale titolò: “Arriva il messia”. I giornali hanno grosse responsabilità nel creare false attese. La gente poi aspetta i miracoli. Sembrava che avrei por- tato la Svizzera a vincere i Mondiali. Vidi quel titolo e pensai perfino di non firmare più. Questo per dire che Gottmar non mi piace. Capisco che i giornalisti siano sotto pressione. È più difficile vendere copie. Ma non vuol dire che io debba accettare tutto quello che si scrive».

Ha mai avuto offerte per allenare in Italia?
«Mai. Nessuna. Dal Real Madrid sì. Proprio dopo la Champions del ‘97. Sarei diventato ricco, ma non conoscevo la lingua, non parlo spagnolo. Ho sempre fatto le mie scelte in base ad altro».

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