Per dirla alla Marina Confalone in “Così parlò Bellavista” nell’indimenticabile monologo con la lavastoviglie, la Roma l’abbiamo battuta (o meglio, asfaltata), in campionato ci siamo ripresi, il turn over ve l’abbiamo spiegato, almeno speriamo: che cosa vi manca?
Il Napoli di Rafa Benitez ha liquidato la pratica Young Boys (squadra invero modesta) con una partita che sarebbe potuta finire nove a zero (o a uno). In una cornice di pubblico deprimente (12mila gli spettatori presenti ieri sera al San Paolo), la squadra, dopo un inizio comprensibilmente attendista, ha cominciato a macinare il suo gioco. Benitez – non per sfidare i giornalisti, per sua e nostra fortuna ha obiettivi ben più robusti – ha cambiato otto giocatori perché sa che in questo calcio bisogna contare su una rosa più ampia possibile per puntare a traguardi ambiziosi a fine stagione. Diciamo la verità, sono concetti non difficilissimi da comprendere. Persino per noi giornalisti. Se in una redazione si assegnano articoli e inchieste sempre a tre persone, come si potrà mai ottenere qualcosa di positivo da chi si sente perennemente ai margini? Insomma, non è solo cultura sportiva ma l’abc della psicologia.
Rafa quindi se n’è sbattuto delle critiche e in una partita di non secondaria importanza ha ridato fiducia al gruppo che perse a Berna due settimana fa. In cambio, ha ottenuto una prestazione più che dignitosa. Nel primo tempo il Napoli ha costruito diverse palle gol ma, un po’ per cattiva mira un po’ per l’inizio decisamente difficoltoso di Zapata, non è riuscito a segnare. Ci è riuscito alla fine con un gol prodigioso e un po’ fortunato di De Guzman che in precedenza era andato vicinissimo al gol con due inserimenti alla Hamsik. Ottima la prova di Insigne.
Nella ripresa il Napoli ha proseguito. Zapata si è divorato un gol e poi si è fatto perdonare con una cavalcata alla Weah conclusa con l’assist all’olandese fin qui considerato oggetto misterioso del mercato.
Voleva il terzo gol, Benitez. Sapeva che ci avrebbe messo al riparo da spiacevoli classifiche avulse di cui abbiamo già pagato lo scotto lo scorso anno. E così ha tenuto Insigne in campo 70 minuti (tanti) e inserito persino Higuain a dieci dal termine. Tre a zero è stato e a blindarlo ci ha pensato Rafael nell’unica parata che è stato chiamato a compiere. Va qui ricordato che il ruolo di un portiere di una squadra che subisce pochissimi tiri in porta è ancora più delicato. Il rischio – che Rafael conosce sulla propria pelle – è di essere etichettato come chi subisce gol al primo tiro. Non è un caso che per anni si sia discusso del ruolo di portiere nel Milan di Sacchi.
Insomma, questa storia del turn over era ed è una tavanata galattica che riduce ancor di più l’autorevolezza di un mestiere – quello di giornalista – che invece ha una sua nobiltà e che purtroppo non si capisce perché debba ridursi a macchiettismo. Giornalismo non è solo e per forza critica. Può esserlo. Ma è anche analisi, approfondimento, studio. Possibile che a nessuno sia venuto in mente un’inchiesta sul turn over, su come sia cambiata la preparazione atletica? Mah.
Detto questo, c’è un punto che sembra più rilevante. La disaffezione del pubblico. Non, però, dal punto di vista del Calcio Napoli, ma da quella di noi tifosi. Ancora oggi Antonio Corbo si sofferma sulla – secondo lui – scellerata campagna acquisti che ha colpevolmente provocato questo allontanamento . Sarebbe interessante, invece, chiedersi che cosa ci guadagnino gli appassionati. Ieri sera una persona mi ha raccontato la scena dell’acquisto dei biglietti per la partita con lo Young Boys. “Mi sono trovato quasi in un clima ostile in tabaccheria. Come? Date i soldi al pappone? Mi sono sentito in trasferta”. A me questa storia ricorda quella del marito che per fare dispetto alla moglie si evira. Purtroppo, i media hanno contribuito a raccontare la favola di una campagna acquisti inesistente, non hanno aiutato i tifosi a comprendere che il sistema calcio è cambiato, che avere una società con i conti in ordine è indice di floridezza e salute, che la cultura sportiva è altra cosa dal dover vincere. Non credo alla malafede, credo all’incapacità di comprendere questi concetti e quindi all’impossibilità di diffonderli. Il che è immensamente più triste.
Il risultato è che una squadra molto forte come questo Napoli di Benitez ha travolto la Roma in uno stadio pieno a metà. Ogni volta ricordo le parole dei miei zii quando io ero letteralmente stregato dal Napoli di Maradona. “Non ti abituare”, mi dicevano. E io non capivo. Ecco, questo vorrei dire ai tanti tifosi attestati sull’Aventino (ci sono anche motivazioni economiche, per carità): prima o poi il Napoli di Benitez passerà, torneranno gli Amodio, i Lucenti, i Trotta. E magari un giorno un vostro figlio o nipote vi chiederà: “me lo racconti il Napoli di Benitez? Com’era? Higuain?”. E voi risponderete: “Ecco, vedi, ehm, io all’epoca ero papponista”.
Massimiliano Gallo