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Improta, il baronetto che non giocò nel Napoli di Vinicio perché fu venduto alla Sampdoria

Improta, il baronetto che non giocò nel Napoli di Vinicio perché fu venduto alla Sampdoria

Rischia di passare alla storia come colui che “ha fatto una doppietta alla Fiorentina”, che ha litigato con i compagni perché non le ha mai mandate a dire e per colui che ha mancato la gran bella occasione della sua vita non giocando col Napoli di Vinicio edizione “futebol olandese”, anni di grazia 1973-75. Basti pensare che quando Vinicio fu presentato nell’allora spartana conferenza stampa di presentazione, dopo aver rilevato Chiappella, disse: «Improta sarà il nostro Corso». Una settimana dopo lo vendettero alla Sampdoria ma, si è mormorato, non perché non lo volesse O’Lione. Il giocatore in questione, detto anche “Gianni il bello” (decine di ragazzine lo avranno rincorso per Posillipo invano) ha dato tutto quello che aveva alla squadra della sua città in due periodi diversi e a distanza di dieci anni. Nell’ultimo suo anno a Napoli, prima della cessione, la squadra attraversava uno dei momenti meno “colorati” della sua storia dopo aver venduto in un sol colpo Zoff e Altafini alla Juventus per fare cassa. Così la società creò una sorta di argine col passato recente fatto di signor giocatori, diciamo pure di campioni che, come Josè ‘Core ‘ngrato’, Sormani, Bianchi e Panzanato avevano ormai dato tutto o quasi per la causa azzurra. Ci fu una sorta di ripulisti, si ripartì con otto acquisti ma “Baronetto” restava uno dei punti fermi di quella squadra. I suoi nuovi compagni furono Damiani, Rimbano, Carmignani, Vavassori, Esposito, Ferradini e Beppe Bruscolotti, dal Sorrento, che arrivarono ad arricchire una rosa oggettivamente indebolita dalle perdite di cui sopra. Chiappella chiuse il suo ottimo ciclo a Napoli e Ferlaino afferma, senza mezzi termini, che il Napoli che nascerà dopo l’addio di “Beppone” sarà una squadra “spettacolare”. Forse aveva già in mente l’ingaggio di Luis Vinicio, chissà.

Una compagine che comunque va ricordata per una peculiarità che sembra resistere nel tempo. Infatti ‘Totonno’ Juliano, ‘Sivorino’ Abbondanza, Salvatore ‘Ciccio’ Esposito e Gianni Improta formarono un centrocampo fatto tutto da napoletani veraci, un record difficilmente battibile. Ricordiamo che in quegli anni il 6 era il mediano di spinta, l’8 la mezzala destra, il 10 la mezzala sinistra e il 7 o l’11 l’ala che faceva la fascia e copriva in caso di bisogno. Perché parliamo di quei centrocampisti? Semplice, avevano tutti il cuore colorato di cielo, mare e… Azzurro! E in quel quadrilatero un superbo interprete era Gianni Improta che spesso prendeva per mano quel Napoli anemico e dalle polveri bagnate e che col suo aspetto incarnava in tutto e per tutto i favolosi ‘sixties’, quelli della ‘swinging London’, di una eco che, dall’Inghilterra, arrivava anche da noi. Basti pensare al mito George Best, prontamente imitato da Gigi Meroni del Torino negli atteggiamenti e nell’abbigliamento. Chissà, mi sono spesso chiesto, se la pettinatura e il modo di fare, con una lunga chioma da invidia e basettoni anni ’70, era voluta dal Nostro Gianni. In tal caso gli spetta di diritto il nomignolo di ‘Beatle napoletano’.

Anni belli e spensierati furono quelli di un milord dai modi gentili fuori dal campo ma dotato di una tecnica sopraffina nel tocco di palla e nell’organizzazione di gioco. Il ‘baronetto’ di Via Manzoni, un nome che volente o nolente richiama la Regina che ne ha ‘incoronati’ tantissimi nel corso degli anni, era un rigorista freddo e determinato, soave nello smistare la sfera per il compagno meglio piazzato e fine nella giocata in profondità. Resto convinto che Gianni avrebbe potuto fare molto bene anche nel Napoli di Vinicio come alter ego di Esposito in quanto giocatore tecnico e dal piede caldo, egregio costruttore di gioco, furbo ed intelligente quanto basta per fare con i piedi quello che pensava. Non a caso fu paragonato a Mario Corso e sembrò per certi aspetti l’erede naturale del campione interista.

Come sappiamo, col motto “nemo propheta in patria” come zavorra, Gianni Improta fu sdoganato in varie squadre, la prima delle quali fu proprio la Sampdoria nella quale trovò una situazione disastrosa con punti di penalizzazione da scontare nel campionato che stava per iniziare ed una squadra fatta di vecchietti come Maraschi, Cacciatori e Lodetti (in compenso si mise in evidenza un signor libero che si chiamava Lippi, futuro tecnico della Nazionale campione del Mondo). Poi gli toccò l’Avellino, il Catanzaro, il Lecce per chiudere mestamente nella Frattese. Sicuramente gli resta il rammarico di non aver potuto dare di più alla causa azzurra, di non aver giocato di più nel suo Napoli. Vi ritornò nella stagione 1979-80 quando in squadra giocavano Vinazzani, Castellini, Ferrario, Bellugi, Damiani, Tesser e fu ancora una volta un campionato anonimo di bassa classifica. L’anno dopo, esattamente come accadde con Vinicio, arrivò Marchesi, fece un grande Napoli che con Krol, Musella, Guidetti e Marangon sfiorò lo scudetto. La sua appare, quindi, come una storia fatta di continue chiusure di porte in faccia ed ogni volta che è ricominciato un ciclo il Napoli si è sbarazzato di lui. Un segno nefasto del destino, non credete?
Davide Morgera

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