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Dino Zoff, il Portiere con Napoli nel cuore

Dino Zoff, il Portiere con Napoli nel cuore

Se c’è un portiere che rimarrà per sempre scolpito nella memoria dei tifosi napoletani, questi è e sarà sempre Dino Zoff da Mariano del Friuli, classe 1942, uomo arcigno e sincero. Con lui, in un periodo in cui l’egemonia delle milanesi era schiacciante anche a livello ‘federale’, non si è vinto molto nei cinque anni di permanenza nella città del Golfo (un secondo, un terzo, un sesto, un settimo ed un ottavo posto) ma non posso mai dimenticare quando, nelle sfide tra bambini, quando ci si sbucciava le ginocchia e si correva in strada dietro un Super Santos, nel momento in cui arrivava la bella parata di colui che stava tra le due pietre che facevano da pali, si esclamava sempre : “Uà, par Zofff!” (n.d.r. “perbacco, sembri Zoff!”). Questo per dire quanto “Dino sauro”, come lo battezzò il mitico Gianni Brera, fosse popolare tra i tifosi, piccoli e grandi, senza distinzione alcuna. Purtroppo il portierone, che poi doveva vincere il Mondiale 1982 di Spagna a 40 anni suonati, andò a vincere gli scudetti altrove, sulla odiata sponda bianconera, dove aprì un ciclo ed una cantilena che oggi recitano ancora i fedelissimi della Juventus, cioè “Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea…” e basta così. Il Napoli fu costretto a cederlo per esigenze di bilancio, insieme ad Altafini, in una triste estate del 1972 quando Dino era al culmine della carriera, era il più forte portiere d’Europa ed aveva metaforicamente mandato a casa Ricky Albertosi, titolare ai Mondiali del 1970. In cambio Ferlaino, forse l’operazione di mercato più scellerata che mai potesse fare, ebbe Carmignani ed un po’ di milioni. Il gioco, comunque, non valse la candela, questo non lo scopriamo noi. Dopo il ritiro dal calcio giocato, Zoff è stato allenatore di club, commissario tecnico, dirigente sportivo, tutte esperienze che hanno messo in evidenza il carattere, quello della scorza dura friulana, del “ci sono ma non mi piego”. Basti pensare ad una per tutte, quando Berlusconi gli addossò tutte le colpe della mancata vittoria dell’Italia agli Europei del 2000 contro la Francia. Il giorno dopo il Nostro, offeso nella sua dignità di uomo e professionista, rassegnò le irrevocabili dimissioni chiudendo per sempre i ponti con la Nazionale.

Dino Zoff ha pubblicato recentemente per Mondadori una bellissima autobiografia, Dura solo un attimo, la gloria, dove ci fa rivivere atmosfere che sembrano sopite e ci fa respirare un calcio più umano, genuino, vero rispetto a quello dell’oggi. C’è tutto in questo volume, dagli esordi nella squadra del paese al passaggio all’Udinese dove di mattina continuava anche a lavorare, al grande salto in serie A al Mantova, le amicizie, la conoscenza della futura moglie, il suo rapporto fraterno con Scirea, i 903 minuti consecutivi di imbattibilità, l’ammirazione incondizionata per Enzo Bearzot, il suo rapporto con la Nazionale da giocatore e poi allenatore, riflessioni varie sulla ‘solitudine del numero uno’. Anche Maradona entra di diritto nella sua galleria di personaggi, anche se non ci ha mai giocato contro, perchè in questo volume si parla anche di grandi campioni e Diego è stato il più grande di tutti.

Il motivo, però, per cui ho comprato e consiglio questo libro, che si legge tutto di un fiato, avvince e ti lascia penetrare sempre più nell’intimo di un uomo silenzioso, di poche parole ma di tantissimi fatti, è il capitolo dedicato al suo rapporto con Napoli, i napoletani ed il Napoli. Credetemi, mi sono emozionato, Zoff ha ancora la nostra città nel cuore e lo si evince da come racconta i fatti. Del resto una autobiografia è una sorta di “testamento spirituale”, ti trovi di fronte al riassunto della tua vita, non puoi dire bugie. È come stare di fronte ad un prete in punto di morte. Qui c’è solo la verità. La decina di pagine dedicate al suo rapporto con Napoli andrebbero lette pubblicamente, trasmesse in radio, nelle tv private di questa città, passate di bocca in bocca tanto sono belle. E sono pagine che insegnerebbero tanto agli odierni mercenari del pallone. Quelli col “mal di pancia” e quelli senza.

Dunque, l’esperienza napoletana nei minimi dettagli. Le prime parate a Napoli dopo una corsa folle in auto da Bologna per disputare un’amichevole con l’Indipendiente, il soprannome di “Nembo Kid”, i retroscena di una trattativa da “colpo di teatro” in cui Pesaola lo volle a tutti i costi strappandolo al Milan al quale era già stato promesso, l’impatto con la città, l’esordio in Nazionale durante al sua permanenza a Partenope. La bonaria imposizione di salutare i tifosi quando si entrava in campo al S.Paolo, i gesti d’affetto verso il padre che non pagava mai perchè i napoletani non glielo permettevano, le tante amicizie, la stima incondizionata per capitan Juliano, le strabilianti avventure di Sivori, il timore per Achille Lauro che, prima dell’era Ferlaino, era ancora ben presente in società. Poi amarcord agrodolci quando Zoff scrive che non sarebbe mai voluto andare via da Napoli ma dovette piegarsi al volere di Ferlaino, quando ricorda che i napoletani lo hanno continuato ad applaudire ad ogni suo ritorno al San Paolo mentre fischiavano i suoi compagni. «I napoletani mi hanno sempre dato il loro affetto, non mi voltarono le spalle nemmeno quando fui ceduto. Un affetto che ho sempre ricambiato». Uno così non si chiama Dino Zoff per caso. Dino-sauri si nasce.
Davide Morgera

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