Ieri il professor Trombetti ha scritto che in qualche modo lui “ha bisogno” di tifare per qualcuno, seppure alla Napolista, altrimenti anche le partite del Mondiale assumono per lui poca importanza. Ecco, per me vale l’esatto contrario. Il Mondiale è stato ed è, tra le altre cose, un formidabile toccasana, un’occasione di riconciliazione con un gioco, uno sport, che ho amato a prescindere dai colori. Da sempre. E talvolta (non spesso) il tifo mi ha in qualche modo impedito di godere appieno di un gesto tecnico sopraffino, di un momento sportivo caratterizzante e in alcuni casi storico. Questi Mondiali mi stanno restituendo, con tutti i limiti del gioco espresso, la passione per il gioco del calcio. Anzi, penso con terrore a quando il mio orizzonte cognitivo non sarà più delimitato dal dolore di Neymar, dalla lucida follia di Van Gaal, dallo straordinario tempismo di Neuer. E potrei continuare per centinaia di righe riempiendomi gli occhi dei gesti tecnici, delle emozioni vissute a questi Mondiali che pure non sono una vetrina calcistica straordinaria. Ma per me restano sempre l’appuntamento calcistico più importante. A questi Mondiali non ho tifato. Sì, ho sperato che l’Italia andasse avanti. Mi avrebbe fatto piacere che avessimo giocato noi, ieri sera, al posto del Costa Rica. Ma devo convenire che con ogni probabilità non avremmo fatto la stessa figura, ai rigori non ci saremmo mai arrivati e ci saremmo persi la vangaallata. Ed eliminata l’Italia, non ho avuto succedanei da utilizzare. Anzi. Accendo la tv con l’unico obiettivo di godermi le partite di calcio. Mi sono divertito a guardare il Ghana, mi sono quasi entusiasmato (elloso) con gli Stati Uniti di Klinsmann. Certo ho notato – ma lo sapevo, lo sapevamo già – quanto l’omologazione abbia corroso pure il nostro calcio. In realtà capita, è capitato, con tanti sport: il tennis, tanto per fare un esempio (anche se oggi Federer e Djokovic stanno dando spettacolo a Wimbledon). Però a noi “malati” basta poco per riaccendere la fiammella della nostra passione: anche la sostituzione di un portiere al 119esimo minuto di un quarto di finale sulla carta inutile come quello tra Costa Rica e Olanda. In più, questo Mondiale mi sta regalando una gioia che avevo dimenticato: l’assenza del post-partita. Oggi non me ne frega niente delle dichiarazioni di Van Persie, Lahm, persino di Messi. Il calcio sono i novanta minuti. O i centoventi più rigori. Il resto è sovrastruttura linguistica e palinsesto per giustificare i soldi degli sponsor. Me n’ero dimenticato. E mi sono ritrovato sollevato. Godo solo del pallone. Per carità, le polemiche non sono mancate. Ma le ho seguite distrattamente, le ho viste scorrere su un nastro. Come mi succede quando colgo in lontananza una frizione nel Pd. Oggi non vedo l’ora di gustarmi Germania-Brasile e Olanda-Argentina. Mi sento un bambino a immaginare che l’Olanda, la mitica Olanda, potrebbe avere in una volta sola l’occasione di prendersi la rivincita delle tre finali perdute e finalmente alzare quella maledetta Coppa. Hanno già umiliato la Spagna; adesso avranno di fronte quell’Argentina che nel Paese dei colonnelli non avrebbe mai potuto perdere; e chissà, in finale potrebbero ritrovarsi la Germania che nel 1974 si prese una finale che sembrava già loro. Ho fatto solo un esempio, ma giocando con tutti gli incastri potremmo trascorreremmo nottate a fantasticare e a illuminarci gli occhi ricordando i gesti che furono. Lo so, è un pezzo mieloso. Ma io parlerei per ore di calcio in questo modo. In questo momento vorrei non tornare mai ai nostri autunni tristi, alle moviole, ai processi, a quell’obbligo di vittoria che personalmente, come appassionato di sport, comincio ad avvertire come un qualcosa che non mi appartiene. Il mio amore per il calcio non finì il 1° maggio 1988 e non aumentò il 10 maggio 1987. Mi brillano gli occhi allo stesso modo quando vedo un pallone rotolare. Poi, certo, alcuni gol emozionano più di altri. Uno dei più belli a Napoli lo segnò Gigi Riva, con la maglia dell’Italia: tuffo ad angelo contro la Germania Est, nel 1969. Io non ero nato. E nemmeno Van Persie. Massimiliano Gallo
Questi Mondiali senza tifare mi hanno riconciliato col calcio
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