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Renzi quando affronterà l’emergenza calcio?

Renzi quando affronterà l’emergenza calcio?

“È evidente che se ci sono dei costi da pagare è giusto che paghino le società, non è giusto che si paghi con la fiscalità generale un servizio per quelli che vanno allo stadio. Ma parliamo delle questioni concrete, per evitare che gli sciacalli da campagna elettorale utilizzino queste questioni: dal 26 maggio ci mettiamo intorno a un tavolo e discutiamo delle cose da fare”. Così parlò Matteo Renzi qualche giorno dopo la finale di Coppa Italia. Il 26 maggio è trascorso da un mese, eppure il dossier “calcio” è rimasto ben riposto nei cassetti di Palazzo Chigi. Comprendiamo che provare a sanare una situazione incancrenita da decenni non è operazione agevole, nessuno ha la bacchetta magica. Ma girarsi dall’altra parte non può essere la soluzione. Tra due mesi comincia il campionato e la domanda che ogni appassionato di calcio si pone è la seguente: “E adesso che succede?”. Nei giorni caldi, subito dopo quella maledetta sera, le istituzioni si sono riparate dietro Genny la carogna. Ha assolto al meglio la sua funzione di ottimo paravento. Adesso, però, non regge più.

Quasi due mesi dopo, di quella sera non sappiamo nulla. Non sappiamo che cosa è successo a Tor di Quinto. Nulla sappiamo degli uomini che avrebbero aggredito l’autobus del Napoli con Gastone e poi sono fuggiti. Nulla sappiamo dei legami del tifo della Roma e gli ambienti neonazisti che hanno provocato la morte di Ciro. Così come nulla sappiamo dell’inefficienza organizzativa del piano sicurezza allestito da prefetto e questore, ovviamente in accordo col ministero dell’Interno. La rottamazione per loro non vale. Il governo Renzi si è comodamente allineato alla tradizione italiana e sta provando a tirare avanti mettendo la polvere sotto al tappeto. Non sappiamo quanto questa linea possa dare i suoi frutti. O meglio, lo sappiamo. Qui però, rispetto al passato, c’è un salto qualitativo. C’è un ragazzo morto, ucciso da un colpo di pistola. C’è una curva che la domenica successiva ha esposto striscioni di chiara matrice fascista in difesa del presunto assassino.

C’è, domenica dopo domenica, una distanza sempre più incolmabile tra chi va allo stadio per guardare una partita e tifare, e chi invece – come ha detto il presidente della Roma James Pallotta – “viene allo stadio per tutelare altri interessi”. La guerra per bande ha raggiunto un livello che potremmo definire di non ritorno. Uno Stato che non è capace di far luce sulle proprie inefficienze difficilmente può essere in grado di varare una riforma che riporti il calcio nella sua dimensione naturale, che sarebbe quella sportiva. Matteo Renzi, invece, prova a far finta di niente. Il presidente del Consiglio farebbe bene invece a passare all’azione. Sia pure solo per egoismo. Sta per cominciare il semestre europeo di presidenza italiana e non sappiamo quanto possa beneficiarne la sua immagine se il suo governo non sarà in grado di fermare la guerriglia settimanale. L’esistenza di un Paese non è scandita solo dagli accordi tra le forze politiche e dalle riforme istituzionali. Poi c’è la vita. Quella di tutti i giorni. E che in genere conquista le prime pagine solo quando il pasticciaccio è diventato brutto brutto. Si muova, e rapidamente. Metta le società di calcio attorno a un tavolo non solo per discutere di diritti tv e giunga rapidamente a una decisione. Altrimenti l’unica soluzione sul tavolo resta quella lanciata due anni fa da Mario Monti: «Il calcio andrebbe fermato per un paio di anni». Che, al momento, resta la tesi più accreditata. Sicuramente meglio che piangere un morto. p.s. Volutamente abbiamo evitato di parlare della questione napoletana, ahinoi triste protagonista dell’anno calcistico (nel silenzio di tanti commentatori che hanno provato a relegare la discriminazione territoriale a sfottò) e culminata nell’uccisione di Ciro. Dal Napolista vogliamo provare a offrire un contributo per salvare il nostro calcio. Per questo rifiutiamo, come abbiamo già scritto, il “noi” e “loro” che renderebbe più comoda la posizione di chi deve assicurare ai cittadini la possibilità di andare allo stadio.

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