Walter, torna l’uomo virile d’un tempo
Walter, no. Così no. Per favore. Non posso vedere che ti danni in quel modo, avvolto su te stesso, con la giacca che fa le grinze, proprio adesso che hai imparato a vestirti bene. Non posso vederti, te lo giuro, mentre furioso porti le mani alla bocca, come un bambino confuso, le mani perché non […]
Walter, no. Così no. Per favore. Non posso vedere che ti danni in quel modo, avvolto su te stesso, con la giacca che fa le grinze, proprio adesso che hai imparato a vestirti bene. Non posso vederti, te lo giuro, mentre furioso porti le mani alla bocca, come un bambino confuso, le mani perché non trovi nei paraggi una bottiglietta di acqua minerale. E le telecamere corrono su di te, dopo il gol del 2-2 del Livorno, perché quelli lì sono impietosi, non perdonano nulla, ti portano in cielo e poi ti devono schiacciare, Walter. Vengono a cercarti con l’occhio che nulla condona perché questo adesso si aspettano da te che tu possa mordere un pezzo di panchina, l’orecchio di Zanetti, che tu addirittura possa brucare l’erba. Resta immobile, Walter, la prossima volta. Come in panchina faceva Beckenbauer, o se ti spaventa il confronto sii come Ranieri. Senza offesa. Lo so che ti senti superiore, ma questi sono i tempi, Walter, anche uno come te – e scusa la minuscola – deve accontentarsi. Non lasciarti andare alla prossima delusione, vedrai che ci sarà, preparati, non diventare la macchietta di te stesso.
Promettimelo, Walter. Non reggerei un’altra delusione come ieri sera, non posso credere che all’improvviso tu sia diventato un personaggio di Italo Svevo, autunnale, alle prese con una vita inquinata alle radici. Non cedere alla senilità, non restare nel guado tra la brama di un nuovo piacere all’Inter e il rimpianto per non averlo goduto a Napoli. Perché questo mi sembri adesso, e mi fa male. Un inerte. Un indeciso. Invece voglio ricordarti come l’uomo virile che eri con noi, il guerriero che la giacca la gettava via, non la stropicciava per disperarsi, e in camicia torturava la cassa dell’orologio, picchiettandola forte per reclamare qualche istante di recupero. Riprenditela adesso la tua vita. Non ti sta bene quella faccia da uomo del Novecento, pieno di dubbi e di domande. Con il tuo passo da cow-boy e le cosce a bancarella, nelle mie fantasie eri il villain vittoriano che insidiava le fanciulle nel romanzo borghese d’inizio Ottocento. Al tempo dei preraffaeliti. E sia detto senza un secondo senso, Walter, perché lo sai che non ti ho mai voltato le spalle, fosse anche per il fatto che non mi fidavo. Con te e con il tuo Napoli abbiamo sognato di scatenarci al ritmo del rock n’roll, ma adesso sant’Iddio sembri mio padre, sembri uno che alla festa ti accompagna e ha paura di ballare, ti lascia lì e ti chiede a che ora deve passare a prenderti.
 Togli le mani dalla bocca, Walter. Mollala l’Inter, Milano non può capirti, in fondo non gli sei mai piaciuto, neppure quando in estate si illudeva di aver trovato il principe nerazzurro che con un bacio le avrebbe ridato la vita. Mollala l’Inter e torna te stesso, riprenditi quello che sei,  fa’ quello che sai fare. In giro ci sono un mucchio di Reggine e di Sampdorie messe male. Rapiscile, falle tue e falle sognare. Prendi il cavallo, sciogli le trecce e vola a battere di nuovo il dito su un orologio. Approfittane. Ora. Tempo di recupero non sempre ce n’è.
 Elena Amoruso











