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Che bello essere provinciali (e tornare a casa suonando il clacson)

Ieri sera mi sono ritrovato ad attraversare lo smog del tunnel nel dopo Napoli-Juve con il pollice incollato sul clacson della vespa, una gioia e una leggerezza impagabili che solo certe vittorie ti riescono a dare. È difficile spiegare perché, ma quando si gioca con i bianconeri, qualsiasi sia l’importanza per la classifica, si va allo stadio con una adrenalina diversa. Ogni tifoso vero porta con sé, impressi come stimmate, i ricordi delle tante ingiustizie patite e delle innumerevoli partite che ci hanno rubato. Una frustrazione antica che solo la magica punizione di Diego in una piovosa domenica di tanto tempo fa riuscì finalmente ad interrompere per qualche anno, ma non a cancellare. La nostra frustrazione però non è il sintomo di una eterna subalternità ma rappresenta la consapevolezza che anche quando sei più forte, se lo meriti, se giochi alla grande senza fargli toccare palla, può sempre accadere qualche cosa di imponderabile che ti castiga. Una ingiusta e onnipresente mano di un Dios bianconero che ti fa tornare a casa sconfitto e imbestialito. Per questo scatta quella motivazione in più, quasi un valore aggiunto che ti dà una carica speciale, ricompatta lo stadio, la città e fa volare i calciatori anche quelli che sono appena arrivati. Uno schiaffo alla vecchia signora, al suo finto perbenismo che nasconde da sempre maneggi e arroganza, è come un urlo liberatorio, un risarcimento dovuto per un credito mai estinto. Sono certo che sarà così anche quando saremo noi ad avere tanti punti in più. È vero, con gli sfizi e le “imprese” forse non si diventa grandi e si rischia di cadere nel piùbecero dei provincialismi ma lasciatemelo urlare, per lo meno per una sera, essere provinciali così è bello ed eccitante. Claudio Botti

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