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L’energia di Diego è stata e può essere linfa vitale per il Napoli di Benitez (ovvero, lascio il Napolista perché io tifo Napoli e voi tifate Rafa)

Lunedì scorso, accompagnavo la mail con cui inviavo a Max Gallo il mio contributo dopo Napoli-Milan con queste parole: «Ti prometto che ora mi asterrò a tempo indeterminato!». Sono solito mantenere le promesse. Tuttavia, i pezzi di Max e del maestro Carratelli dopo la esaltante vittoria con la Roma mi hanno convinto della necessità di congedarmi con un’ultima definitiva spiegazione.
Dissento profondamente dal loro pensiero, mentre stavolta – diversamente da quanto scrissi il 6 febbraio – concordo in pieno con Maurizio de Giovanni sul Mattino dello stesso giorno, perché ha riconosciuto e raccontato la realtà dei fatti in modo assai più veritiero.
Quando stava per cominciare il secondo tempo della semifinale di ritorno, in preda ad una tensione altissima, mi sono rivolto ai miei ‘fratelli di stadio’ e ho detto loro: «Pensate come sarebbe bello e importante se li ‘schiattassimo’ con altri due gol!». E lo dicevo con l’anima del tifoso (che, peraltro, si stava riconciliando con quella del competente, perché Hamsik stava giocando perfettamente, più staccato da Higuain, in una posizione tale da lasciare ad Inler e Jorginho le linee di passaggio necessarie per contrastare efficacemente il centrocampo giallorosso).
Ad un certo punto un fremito ha percorso lo stadio intero. Solo chi era là poteva percepire l’emozione: la TV non ha potuto restituire adeguatamente quel che si stava provando sugli spalti. Una straordinaria energia era sopravvenuta, e si sentiva, si vedeva come essa, per il tramite del popolo azzurro, veniva trasmessa ai ragazzi in campo e da loro recepita e tradotta in gioco.
Caro Max, apprezzo la tua onestà, che ha consentito di svelare nitidamente la diffe-renza fra noi: tu non hai cantato “o mamma, mamma, mamma”, io sì, a squarciagola e con il cuore in subbuglio, per la straordinaria miscela di sentimenti: una struggente nostalgia, la passione per il riprender vita e forma della identità di un popolo, la tensione forte per la partita in corso, il desiderio di vittoria e di rivincita.
Si è così andato definitivamente segnando il confine fra le nostre posizioni, e quindi – mi sembra di poter dire – fra la Rivista e il popolo partenopeo.
Ribadisco quel che scrissi il 3 gennaio nel rispondere a Pontorieri: si conferma il vi-zio che fece fallire la rivoluzione del 1799. E devo dire che a sorprendermi sono state assai di più le ragioni esposte da Carratelli per sostenere la tua tesi. E non tanto perché egli attri-buisce ai giornali una intenzione strumentale – la stampa fa questo per un ormai consolidato ‘sviamento’ del mestiere (che dovrebbe esser quello di informare ed aiutare a ragionare, e non di raccontare in modo da restituire una verità non vera, funzionalizzata ad un prestabilito obiettivo, più o meno nobile che sia), uno sviamento che, purtroppo, si è così radicato da aver addirittura determinato la mutazione della ontologia di quel nobile mestiere. Non tanto per questo, ma perché la intenzione che gli attribuisce non è condivisibile, e anzi è inaccettabile: come se bisognasse chiedere scusa a Benitez! E perché? Per aver manifestato una dissenting opinion? Per averlo aiutato a riflettere e correggere il tiro? Ciò che Rafone, con intelligenza e saggezza ritrovate, sta gradualmente facendo?
Ho già dichiarato il personale enorme fastidio per il chiacchiericcio radiofonico e te-levisivo, succube delle sole emozioni del momento, e privo di ogni capacità di ragionare. Non devo per ciò prendere le distanze dai salotti televisivi e dai giornali. Non sono mai stato iscritto – men che meno mi iscriverei ora – al partito dei ‘sapientoni’ (che però, cari amici, non mi ricordo abbiate attaccato con tanto ardore quando dava addosso a Mazzarri!).
Registro invece, non senza qualche disappunto, che siete voi ad essere iscritti ad un partito, quello dei ‘rafaeliti’! E la prova, caro Max, me l’hai data alla fine della partita, cer-candomi con fare aggressivo, e non con la gioia di chi condivide una vittoria, come se io fossi il nemico sconfitto – mostrando, peraltro, di non esserti accorto che avevamo vinto proprio perché si era giocato, come avevo suggerito, con il 4-3-3 (prima in un certo senso ‘nascosto’, e poi, a 20 minuti dalla fine, esplicito), per concludere addirittura con un 4-4-2!
E forse è proprio così, perché i seguaci del ‘rafaelismo’ sono amici del Napoli solo in modo strumentale, e vorrebbero che Napoli fosse come a loro piacerebbe, e fintanto che non lo è resta una ‘nemica’! Io invece, pur essendo un convinto estimatore di Mazzarri e del gioco alla italiana, calcisticamente faccio parte di un solo partito: il Napoli! Voi siete, prima di tutto, seguaci di una vera e propria ideologia, il ‘rafaelismo’, siete cioè più ‘rafaeliti’ che tifosi napoletani. Diversamente, io sono prima di tutto tifoso napoletano (anche se, come ogni amante di calcio, posso manifestare apprezzamento più per un tipo di gioco che per un altro).
La differenza resta quella fra illuminismo giusnaturalistico/individualistico, da un la-to, e positivismo democratico/popolare, dall’altro: c’è chi, avendo in testa una data Weltanschauung, pensa di poterla imporre al popolo; c’è chi invece, pur sposando alcuni valori, sceglie di contaminarsi e confondersi con gli ‘umori’ del popolo, sforzandosi di coglierne l’antropologia soltanto per coniugarla con la testimonianza di quei valori, senza avere perciò alcuna pretesa di imporli.
Non conosco l’origine de Il Napolista. Non so chi e perché abbia scelto il nome della testata. Mi sembrava una bella e divertente iniziativa per convogliare il tifo più intelligente in un luogo comune: evidentemente non il tifo in generale, ma quello per il Napoli. Oggi capisco che ‘napolista’ è sinonimo di illuminista. Che si declina più con ‘rafaelita’ che con ‘napoletano’. Come se la ideologia del ‘rafaelismo’ dovesse essere imposta sulla ‘napoletanità’, per riuscire finalmente a redimerla.
Ebbene, io rifuggo da un siffatto progetto. Dopo averla individuata, o meglio dopo che essa si è smascherata da sola, rifiuto decisamente questa ideologia. Leggo la ‘napolitu-dine’ e mi sforzo di decodificarla. E soprattutto, siccome è bella – anche se è difficile da identificare correttamente e da spiegare –, continuo a sognare che essa si affermi in quanto tale, e ardentemente coltivo questa speranza.
Il Napoli che vinse intorno a Lui, con Lui espresse una straordinaria metafora: ebbe la forza di rappresentare la vittoria del genio sulla cultura del cd. ‘il lavoro paga’; in altre parole, rese vincente la bellezza! Quando conquistammo il primo scudetto, la stampa nazio-nale commentò alternando, per un verso, il ‘paternalismo’ verso il reietto napoletano che, poveretto, tutto sommato meritava una gioia, e, per l’altro, la lettura omologatrice: vedete, cari napoletani, avete vinto – così sostennero – perché finalmente avete capito che dovevate conformarvi, che per vincere dovevate assumere il nostro modello antropologico.
In poche parole, se pure avete vinto voi, a vincere è stata comunque la nostra cultura. In una: siete diventati calvinisti. Ebbene, nel delirio della festa di popolo per la vittoria del maggio 1987, io e gli altri amici del Te Diegum sfilammo per le vie di Forcella al grido di «Gioia, fantasia, improvvisazione! / Stù scudetto l’amm’ vinto senza organizzazione! / Tiè!».
La squadra di oggi ha tutti i numeri per ripercorrere quel cammino vittorioso e rinno-vare così il significato simbolico della Napoli che torna a vincere senza rinnegarsi, restando se stessa. E Rafone ben può esserne l’adeguato condottiero. Per quanto mi concerne, continuerò a tifare Napoli semplicemente perché è una condizione del mio animo. Spero, quindi, vivamente che ciò si realizzi, e mi auguro, con tutto il cuore, che Lui torni nuovamente allo stadio, per ridare agli azzurri la stessa energia che essi hanno raccolto in maniera straordinaria nella semifinale di ritorno. Voi, viceversa, restando seguaci del ‘rafaelismo’, continuerete a tifare soprattutto per questo, e soltanto accidentalmente per il Napoli.
Così, se Diego – volesse Iddio! – dovesse venire di nuovo allo stadio (che so? con la Roma, o la Fiorentina, o la Juve), tornerete, ancora una volta, a spingere perché ci si affranchi dalla nostra storia calcistica e dalla tradizione! Liberi voi di perseverare nella incomprensione di un popolo, della sua città e della squadra che li rappresenta! Liberi quelli come me di riversare amore, e solo infinito amore, per il colore del nostro cielo e del nostro mare (e adesso datemi pure dell’olegrafico, tanto – come ho detto – mi sto congedando).
Guido Clemente di San Luca

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