La doppia battuta d’arresto, Bologna e Chievo, è forse la più preoccupante della stagione dopo il passaggio a vuoto autunnale (Juventus, Parma e Udinese). Preoccupante perché inaspettata. Almeno per chi scrive. Il Napoli aveva chiuso l’anno solare con un pareggio non entusiasmante a Cagliari, 1-1, ma ha poi cominciato il 2014 con due vittorie consecutive: contro la Sampdoria e, soprattutto, a Verona. Sembrava che al Bentegodi fosse nato il Napoli di Benitez. Una squadra sicura di sé, consapevole, in grado di aspettare gli avversari e poi di far male al primo affondo. Sembrava che il peggio fosse ormai alle spalle nonostante gli infortuni con cui la squadra è stata costretta a convivere: Behrami, Hamsik, Zuniga, Reina. E invece dopo Verona, qualcosa è tornato a incepparsi. Incredibilmente. Prima la vittoria sofferta contro l’Atalanta in Coppa Italia, poi il doppio pareggio in campionato.
A Bologna il Napoli ha regalato un tempo, certo. Ha pagato la cattiva giornata di Albiol. Ma aveva giocato con forza di volontà. Era riuscito a ribaltare il risultato su una campo pesante. Fino a quell’incredibile gol preso all’ultimo minuto in superiorità numerica. Contro il Chievo è andata peggio, anche se forse abbiamo collezionato più occasioni da gol: tre pali, un gol clamoroso sciupato da Higuain e un altro sprecato da Albiol che poi ha pareggiato. E abbiamo rivisto un Hamsik fuori dal gioco, da aggiungere allo spento Higuain. Due pareggi consecutivi che ci hanno portato a dodici punti dalla Juventus e a sei dalla Roma. Ora siamo costretti più a guardarci le spalle che a ipotizzare un sorpasso. Almeno per ora.
La domanda è: che cosa è successo dopo Verona? Certo, il Napoli ha perso un bel po’ di punti contro le piccole, dal Sassuolo in poi, ma non può essere questa l’unica spiegazione. Ieri il Ciuccio ne ha fornita una da non sottovalutare: il peso che ha il doppio ruolo di manager-allenatore di Benitez, le conseguenze su alcuni uomini dati in partenza. Ma c’è anche altro. Probabilmente la squadra non ha ancora la capacità di rimanere concentrata novanta minuti e, soprattutto, non ha ancora acquisito quella consapevolezza che è fondamentale. È come se la squadra si sentisse sempre sotto osservazione, come se dovesse dimostrare qualcosa. In realtà non c’è nulla da dimostrare. Non c’è l’urgenza di giocare bene, di dare spettacolo. C’è, questo sì, la necessità di essere solidi. Il Napoli non lo è. Non è una squadra contro cui gli avversari si rassegnano, come accade – o accadeva – ad esempio a chi incontra la Juventus.
Continuiamo a sostenere che anche la debolezza difensiva è una novità assoluta per le squadre di Benitez. Il tecnico madrileno è da sempre stato considerato una sorta di anti-calcio, un maestro del difensivismo. Ieri su Twitter Vittorio Marotta ha dato i numeri: 41, 25, 27, 28, 27, 35. Sono i gol subiti dal Liverpool di Benitez. Adesso, dopo ventuno giornate (ne mancano diciassette), siamo a quota 23. Benitez rischia di stabilire il proprio record negativo. Anche se conforta il dato del primo anno a Liverpool: 41. Il tecnico non è ancora riuscito a plasmare la squadra. Giocatori abituati da quattro anni in un certo modo si sono ritrovati improvvisamente a dover applicare un altro gioco. Ed è proprio questo quel che si nota: è come se i giocatori pensassero troppo non avendo ancora mandato a memoria gli schemi del tecnico. Non è un calcio naturale. Quando lo è, in alcune fasi d’attacco, è scintillante.
È un momento non facile. Servono pazienza, applicazione e fiducia. In questo caso, a mio avviso, tornare subito in campo è un bene. Si ricomincia domani sera in Coppa Italia contro la Lazio. Nella speranza di ritrovare non dico la squadra di Verona, ma una formazione più consapevole. In caso di vittoria, a febbraio ci aspettano otto partite. E chissà se a febbraio ritroveremo i nostri misteriosi infortunati che si sono persi al largo dei Bastioni di Orione: qualcuno raccolga i segnali di Zuniga e Behrami, se ce ne sono.
Massimiliano Gallo