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Buffon, capitano della Nazionale, esce a vuoto sul razzismo. E il mondo del calcio resta in silenzio

Il capitano della Nazionale che giustifica gli ululati razzisti e i cori di discriminazione razziale. Nell’Italia del pallone accade anche questo, per giunta nell’accondiscendenza generale. Basta leggere la Gazzetta dello Sport, pagina 17 di lunedì 30 dicembre. Il titolo recita: «Buffon para il razzismo». Il sommario tenta di spiegare: «Non c’è odio ma i cori vanno puniti». Quindi più in basso: «I tifosi vogliono farsi sentire, sono stato uno di loro, so cosa pensano». Davvero, e che cosa pensano?

Secondo quanto riportato nell’articolo, Buffon sostiene: «Non credo che i tifosi agiscano per odio razziale. Anche quando offendono l’avversario con gli ululati, penso che l’obiettivo sia quello di farsi sentire, di dare risalto al dissenso». Ah sì, dissenso. E per cosa, contro chi e perché poi questo dissenso viene espresso solo se il pallone lo tocca un giocatore con la pelle nera? Poi il calciatore aggiunge: «Io li conosco bene, sono stato uno di loro e magari con loro ho cantato cori poco carini, so con quale spirito vengono fatti. E poi i giocatori di altre razze ci sono in ogni squadra, non avrebbe senso». Appunto, non ha senso. Il portiere della Juve concede che, «restando agli ululati», sarebbe «giusto punire severamente certe forme di intolleranza, visto pure il rilievo che in Italia si dà al calcio». Un discreto equilibrismo, non c’è che dire. Ma subito dopo stempera sull’argomento della discriminazione razziale perché, dice «penso che il confine fra lo sfottò e la denigrazione sia veramente sottile», e sulla multa ai giovani sostenitori juventini per le offese ai portieri avversari afferma che «la multa è arrivata perché l’hanno fatto i più piccoli. Hanno voluto dare un esempio, ma credo che si sia esagerato. Il problema andava sollevato, ma in modo da spingere chi ha cantato a riflettere. Bisognava parlare, non punire».

In realtà stavolta sarebbe stato meglio se Buffon avesse taciuto. Grande portiere, non si discute. Ma la sua ci sembra proprio un’uscita a vuoto, al di là di qualche capriola dialettica. Sarebbe bello se gli attori del mondo del calcio avessero il coraggio, una volta per tutte, di prendere posizioni chiare su questo argomento: ululare a un calciatore di colore è razzismo, incitare un vulcano a lavare un popolo è discriminazione territoriale, se centinaia di bambini, (che per giunta stanno guardando la partita in una curva che dovrebbe essere vuota perché squalificata) gridano “merda” al portiere avversario vanno richiamati all’ordine, in primis da chi li accompagna, poi dallo speaker dello stadio. Sia chiaro, allo stadio tutti ci siamo lasciati andare verbalmente almeno una volta. Ma in Inghilterra, per fare un esempio, se un tifoso si agita troppo sugli spalti gli steward lo buttano fuori. Non sarà garantista, ma se capitasse a me penso davvero che mi toglierei il vizio di sbracciarmi invece di vedere la partita. Da noi invece assistiamo a una deriva negazionista che comincia a spaventare. Non tanto per le parole in libertà di Buffon, ma per il silenzio che sta accompagnando queste prese di posizione inconcepibili per un Paese dove non è l’integrazione a rappresentare un valore condiviso, bensì l’eterna ricerca di una scappatoia per giustificare chi viola le regole. Quando ho letto l’intervista, pensavo che Buffon sarebbe stato crocifisso, forse addirittura oltre la portata per me inaccettabile delle sue affermazioni. Invece, a parte qualche sito di tifosi del Napoli, nessuno ha fiatato. Un silenzio complice che fa male più di un buu.
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