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Per DeLa sono sfottò, la vedova Scirea si vergogna di quei cori provenienti dalla curva intitolata a suo marito

Pubblichiamo con un giorno di ritardo l’intervista di ieri su Repubblica a Mariella Scirea, vedova dell’indimenticato Gaetano cui è stata intitolata una delle due curve dello Juventus Stadium. Lei, a differenza del nostro presidente, si vergogna di quei cori e si chiede che cosa c’entri più il nome di suo marito con quei tifosi. (Mi raccomando, non soffermatevi solo sul passaggio relativo ai napoletani e ai bagni distrutti, cosa peraltro non vera).

Il libero gentiluomo non prese mai un’espulsione in carriera, e forse non disse neppure una parolaccia. Di Gaetano Scirea la curva della Juve, chiusa per razzismo, conserva il nome, non più la candida eleganza. E la moglie Mariella, ex deputata, presidentessa del Coordinamento Club Doc Juventus, non nasconde un velo d’amarezza: «A volte penso che le nuove generazioni non avvertano per nulla la responsabilità di portare in curva un nomecome quello di mio marito».
Mariella Scirea, cosa pensa della squalifica?
«Purtroppo non sono sorpresa, me l’aspettavo, siamo recidivi. Ma due turni di chiusura fanno effetto. Questo è il prodotto del malessere del tifo italiano, di una sottocultura che conosce solo l’insulto. Non è solo un problema della Juventus, qui l’intero mondo ultrà si è coalizzato contro le nuove regole federali».
Che effetto le fa vedere il nome di suo marito abbinato, indirettamente, a delle squalifiche così forti? Nel trofeo fair play Scirea, la Juventus è sempre ultima.
«Quando i tifosi bianconeri decisero di chiamare la curva col nome di mio marito, ormai 24 anni fa, ne fui molto felice, ma lo dissi subito: “Guardate che il nome di Gaetano Scirea richiede una grande responsabilità”. Stringemmo un patto: noi siamo la Juventus, la nostra curva deve distinguersi per correttezza».
E poi cos’è successo?
«Con quegli ultrà era possibile un dialogo, ci confrontavamo, c’era un alto senso del rispetto, molti di loro ora sono genitori o nonni. I giovani che ne hanno preso il posto forse non si sentono responsabili del nome Scirea: le curve sono diventate un mondo a se stante, in cui non è facile introdursi e ragionare. Mi rendo conto che la mia è stata un’utopia. Sono delusa dal fatto di non aver raggiunto quell’obiettivo di cui mi ero innamorata».
Cosa le dà più fastidio di questa storia?
«Che venga criminalizzato tutto il tifo bianconero. La Juventus ha milioni di tifosi, conosco personalmente tanti iscritti ai club Doc, persone perbene che in trasferta vengono sistemate nelle gabbie e ricevono pessimi trattamenti. Al contrario, a Torino, in uno stadio senza barriere, c’è chi viene a fare disastri e dal settore ospiti lancia di tutto. Un anno fa gli ultrà del Napoli hanno causato danni per 200mila euro. Quest’anno ci ritroviamo con 4 tifosi feriti. Tanti club non riescono a gestire i facinorosi, guardate cos’è successo alla Nocerina».
Cosa propone?
«È necessario un tavolo fra il governo, Figc, Coni e dirigenti dei club, per inventarsi qualcosa, subito. La tessera del tifoso non ha mai funzionato, anzi, facendo di tutt’erba un fascio ha penalizzato i tifosi sani, creando difficoltà per andare allo stadio. Serve un intervento radicale, come in Inghilterra dopo l’Heysel. E le società devono collaborare».
La Figc ci aveva provato, con le norme antirazziste.
«Ma ha sbagliato a focalizzare l’attenzione solo sul razzismo, per poi fare marcia indietro. Quando morì mio marito, negli stadi si cantava: “Tutti bruciati come Scirea”. Ora fanno i cori su Pessotto. Non è violenza anche questa? Vietiamo qualsiasi insulto. Spieghiamo ai tifosi che, mentre loro continuano a offendersi, i giocatori a fine partita vanno a cena insieme, perché si rispettano. Serve una rivoluzione culturale e sarebbe bellissimo se partisse proprio dalla curva che ha il nome di Gaetano».
Francesco Saverio Intorcia (da la Repubblica di ieri, 13 novembre 2013)

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